“Diritto all’oblio solo nell'UE”
Con un comunicato pubblicato il 10 gennaio, la Corte di Giustizia europea ha reso noto il parere dell’avvocato generale Maciej Szpunar, secondo il quale l’applicazione del diritto all’oblio tramite la deindicizzazione dei risultati dai motori di ricerca non può essere estesa su scala globale. Se quindi è legittimo eliminare alcuni risultati, in risposta ad esplicite richieste a riguardo, per tutte le situazioni un cui la ricerca avviene da Paesi dell’Unione Europea, allo stato attuale non ci sono elementi per procedere ad eliminare i risultati anche nel caso in cui le ricerche vengano effettuate da altri Stati non aderenti all’UE. Tutto ciò, ha precisato l’avvocato, perché occorre un adeguato bilanciamento tra il diritto all’oblio e l’altrettanto fondamentale principio del libero accesso alle informazioni.
La conclusione dell’avvocato, che non è vincolante ma costituisce semplicemente un parere di cui la Corte terrà conto quando nei prossimi mesi si pronuncerà definitivamente in materia, segna l’ultima tappa di un percorso giudiziario cominciato nel 2015, in Francia, quando la Commission Nationale de l’Informatique et des Liberté (CNIL), l’equivalente del nostro Garante privacy, diffidò Google chiedendo la deindicizzazione di alcuni risultati non solo nel caso di ricerche effettuate sulle versioni del motore di ricerca con nomi a dominio riconducibili ai Paesi comunitari, quanto su scala planetaria. Google si oppose a tale richiesta e a seguitò di ciò CNIL sanzionare la società nel 2016, comminandole una multa di 100,000 euro. A sua volta Google fece ricorso al Consiglio di Stato francese, chiedendo l’annullamento della delibera, e dal Consiglio di Stato la questione fu infine sottoposta all’attenzione della Corte Europea.
“Nelle sue conclusioni odierne - si legge nel comunicato della Corte - l’avvocato generale Maciej Szpunar esordisce con l’indicare che le disposizioni del diritto dell’Unione applicabili alla presente fattispecie non regolano espressamente la questione della territorialità della deindicizzazione. Egli ritiene quindi che sia necessaria una differenziazione a seconda del luogo a partire dal quale è effettuata la ricerca”.
"Infatti - prosegue la nota - le richieste di ricerca effettuate al di fuori del territorio dell’Unione europea non dovrebbero essere interessate dalla deindicizzazione dei risultati di ricerca. Egli non è quindi favorevole ad un’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione così ampia che queste abbiano effetto oltre l’ambito territoriale dei 28 Stati membri. L’avvocato generale sottolinea infatti che, pur se effetti extraterritoriali sono ammessi in determinati casi, riguardanti il mercato interno, chiaramente delimitato – ad esempio in materia di diritto della concorrenza o di diritto dei marchi – per la natura stessa di Internet, che è su scala mondiale ed è presente ovunque in pari misura, tale possibilità non è comparabile.
Secondo l’avvocato generale, occorre effettuare un bilanciamento del diritto fondamentale all’oblio con il legittimo interesse del pubblico ad avere accesso all’informazione ricercata. Secondo l’avvocato generale, infatti, ove si ammettesse una deindicizzazione mondiale, le autorità dell’Unione europea non sarebbero in grado di definire e determinare il diritto a ricevere informazioni, e ancor meno di effettuarne un bilanciamento con gli altri diritti fondamentali della protezione dei dati e alla vita privata. Ciò a maggior ragione in quanto siffatto interesse del pubblico ad avere accesso ad un’informazione varierà necessariamente da uno Stato terzo all’altro, secondo la sua ubicazione geografica. Nel caso in cui fosse possibile procedere ad una deindicizzazione su scala mondiale, sussisterebbe il rischio che sia impedito di aver accesso alle informazioni a soggetti che si trovano in Stati terzi e che, per reciprocità, gli Stati terzi impediscano di aver accesso alle informazioni a soggetti che si trovano negli Stati membri dell’Unione.
Nondimeno, in talune situazioni l’avvocato generale non esclude la possibilità di imporre ad un gestore di un motore di ricerca di intraprendere azioni di deindicizzazione a livello mondiale, ma ritiene che ciò non sia giustificato dalla situazione di cui alla presente fattispecie. Egli propone quindi alla Corte di dichiarare che il gestore di un motore di ricerca non è tenuto, allorché accoglie una richiesta di deindicizzazione, di effettuare tale deindicizzazione su tutti i nomi di dominio del suo motore affinché, indipendentemente dal luogo a partire dal quale è effettuata la ricerca in base al nome del richiedente, i link controversi non compaiano più.
L’avvocato generale sottolinea invece che, una volta che sia stato accertato il diritto a una deindicizzazione all’interno dell’Unione, il gestore di un motore di ricerca deve adottare tutte le misure a sua disposizione per garantire una deindicizzazione efficace e completa, a livello del territorio dell’Unione europea, incluso mediante la cosiddetta tecnica del «blocco geografico» a partire da un indirizzo IP che è reputato essere ubicato all’interno di uno Stato degli Stati membri, e ciò indipendentemente dal nome di dominio utilizzato dall’utente Internet che effettua la ricerca".