3.000 anni di moda online: al via We Wear Culture
400 mostre e collezioni digitali, per un totale di 30.000 tra fotografie, video e altre fonti, delle quali 700 immagini in formato Megapixel, per raccontare online 3.000 anni di storia della moda. Questo il prestigioso biglietto da visita di "We wear culture", nuovo progetto lanciato da Google, col contributo di oltre 180 istituzioni culturali di 42 Paesi, tra cui anche l’Italia, per tributare un doveroso riconoscimento ad uno dei fenomeni sociali, culturali ed economici di maggiore rilevanza e spessore, fin dalle civiltà più antiche.
Accedendo al portale, gli utenti potranno visualizzare capi e accessori che hanno fatto la storia, spesso navigando le collezioni anche con gli strumenti della realtà virtuale o con altre forme di fruizione immersiva, tra cui ad esempio la tecnologia Street View, grazie alla quale già oggi è possibile percorrere e scoprire nel dettaglio oltre 40 sedi museali aderenti al progetto.
Da una parte - si legge in una nota dell’Ansa - ci sono sezioni non da addetti ai lavori come i video in VR disponibili su YouTube o con un visore per la realtà virtuale che danno vita a quattro pezzi iconici che hanno cambiato la storia della moda: l'abitino nero di Chanel (1925), che ha fatto del little black dress un must have per ogni donna; lo stiletto di Marilyn Monroe creato da Salvatore Ferragamo (1950-60), che ha reso i tacchi a spillo rosso scarlatto espressione di sensualità; maglia e gonna ispirati al kimono di Comme des Garçons da Kyoto (1983) che mostrano come l'artigianato tradizionale possa arrivare su un palcoscenico globale; il corsetto di Vivienne Westwood (1990), che fa incontrare il mondo dell'arte e quello della moda.
Tante anche le mostre digitali, che presentano icone come Alexander McQueen, Marilyn Monroe, Cristóbal Balenciaga, Coco Chanel, Salvatore Ferragamo, Audrey Hepburn, Christian Dior, Helmut Newton, Irving Penn, Yves Saint Laurent, Manolo Blahnik, Gianni Versace, Oscar de la Renta, Pierre Balmain, Vivienne Westwood, Miyake Issey.
Per un appassionato o un esperto di moda che voglia approfondire le sue conoscenze senza spostarsi dalla scrivania è possibile fare esperienze virtuali come la visita alla più grande collezione di costumi al mondo presso il Metropolitan Museum of Art o entrare nel Laboratorio dell'Istituto di Conservazione dei Costumi grazie ai filmati a 360 gradi che permettono di scoprire in che modo gli esperti lavorano per conservare i 35.000 manufatti del museo. Si può anche fare un giro virtuale nelle varie dimore della moda come la Dream Pad di Condé Nast, il Palazzo di Versailles e la African Heritage House; passeggiare al MoMu Fashion Museum di Anversa; camminare dentro Palazzo Pitti per visitare la mostra fotografica di Karl Lagerfeld "Vision of Fashion.
Presentando il progetto, i partner museali e della conservazione ne hanno sottolineato il carattere di assoluta novità. “Il vero vantaggio di questa operazione - ha dichiarato Kathrin Elisabeth Price, direttrice del dipartimento digital del Victoria and Albert Museum di Londra - non è soltanto l’incredibile strumento divulgativo che rappresenta, ovvero il fatto che apre le porte di un museo e lo rende accessibile anche a chi non ci può entrare. La rivoluzione sta nel poter ammirare quello che non si riesce nemmeno a vedere in un museo. La tecnologia e le riprese che abbiamo utilizzato permettono di studiare ricami e dettagli avvicinandosi agli oggetti come non può succedere, per esempio, con un abito dietro un vetro o con un oggetto in una teca. Non solo: ogni foto, ogni video rappresentano un percorso di storytelling che dà contorno, profondità e spiegazioni aprendo strade, illuminando percorsi e permettendo a tutti non solo di informarsi e conoscere, ma di sviluppare una propria creatività e di inventare nuovi percorsi”.
“Le collezioni di moda sono spesso molto difficili da presentare perché sono fragili e spesso in cattive condizioni - ha aggiunto a riguardo Olivier Gabet, direttore del Musée des Arts Decoratifs di Parigi - l’iniziativa di Google permette di entrare anche negli archivi mai esposti, non solo nelle stanze canoniche. Questo rappresenta davvero una grande chance per la conoscenza, qualcosa che getta le basi di un nuovo modo di affrontare ogni questione legata a un museo”.