America, il corsivo ha le ore contate?
Il sito dello Smithsonian ha dedicato di recente un breve post all’argomento, citando un editoriale firmato dal giornalista scientifico Philip Ball e pubblicato sul Prospect Magazine. Il tema centrale che ispira la riflessione è se abbia senso costringere gli scolari all’apprendimento di una pratica oggettivamente faticosa come la scrittura in corsivo, intesa come la produzione dei testi senza soluzione di continuità tra le lettere che compongono le parole. In passato questo tipo di scrittura ha avuto una fondamentale importanza, anche e soprattutto perché rispetto allo stampatello permetteva una produzione più fluida e veloce dei testi. Ma oggi che grandissima parte dei contenuti viene prodotta in digitale, si chiede il giornalista, esistono altri motivi validi per tenere in vita il corsivo, oppure si potrebbero dedicare le ore spese per questo tipo di insegnamento ad altri tipi di attività?
A detta di alcuni, tra cui ad esempio lo scrittore inglese Philip Hensher, che ha scritto un testo sull’importanza della scrittura a mano e che viene direttamente chiamato in causa nell’editoriale di Ball, ancora oggi quest’arte avrebbe un’estrema importanza per la crescita dei ragazzi, anche e soprattutto perché, sintetizzando al massimo, il passaggio dallo stampatello al corsivo rappresenterebbe una sorta di salto evolutivo versa una maggiore raffinatezza del pensiero. In risposta a questa tesi, Ball fa notare come le cose che vengono comunemente scritte in corsivo dalla maggioranza delle persone siano per lo più incomprensibili e tutt’altro che assimilabili al concetto di bellezza. Quale altra interpretazione dare, si domanda provocatoriamente, al fatto che quando dobbiamo firmare documenti molto importanti ci viene chiesto di scrivere in un corsivo chiaro e leggibile?
E se l’alibi della bellezza e della raffinatezza pare vacillare, non meno claudicanti paiono le altre motivazioni normalmente addotte a sostegno della sopravvivenza del corsivo. “Non imparerete a scrivere più rapidamente in questo modo piuttosto che in stampatello – argomenta Ball citando la principale – perché una volta che avrete appreso a farlo in maniera molto veloce, tenderete ad unire i caratteri, quando necessario, a prescindere dello stile di scrittura usato”.
La sensazione che si ricava dalla lettura dell’editoriale è che non ci sia insomma alcun motivo valido per tenere in vita l’insegnamento del corsivo, se non un non meglio precisato rispetto della tradizione.
“Un sondaggio del 1960 – si legge a tale proposito – permise di capire che la decisione di insegnare il corsivo nelle scuole elementari era per lo più ‘basata sul mantenimento di una tradizione e di un utilizzo ancora molto diffuso, piuttosto a partire da evidenze di tipo scientifico’. Un direttore scolastico affermò che i principali motivi che preservavano il corsivo erano le aspettative del pubblico e le conoscenze pregresse degli insegnanti, aggiungendo di non poter associare un solo significativo vantaggio a questa pratica. Ebbene, stando alle dichiarazioni di Randall Wallace, esperto delle abilità di lettura e nella scrittura presso la Missouri State University, nulla sarebbe cambiato da allora: i motivi per abbandonare il corsivo superano di gran lunga le ragioni per cui si dovrebbe continuare a insegnarlo”.
E a quanto pare sempre più istituzioni si starebbero convincendo di questa evidenza, complice quella rivoluzione digitale che ha permesso di scardinare e gettare nel dimenticatoio della storia già tante altre tradizioni fino a poco tempo fa considerati imprescindibili. Come si apprende infatti dal post dello Smithsonian, gli Stati delle Hawaii, dell’Indiana, e dell’Illinois hanno già sostituito l’insegnamento del corsivo con lezioni sulla battitura meccanica dei testi, e altri 44 Stati starebbero prendendo in considerazione l’ipotesi di fare lo stesso nel prossimo futuro.