Archivi digitali: un lavoro per archivisti
Se il paradigma del digitale è portatore di disruption, ovvero - per dirla con le parole di Joseph Schumpeter - di elementi di rottura epocale con il passato, non è forse il caso che dell’archiviazione digitale si occupi una nuova generazione di esperti e professionisti? Secondo John Sheridan, digital director presso i National Archives del Regno Unito, la risposta è no: nessuno più degli archivisti “tradizionali” dispone ancora oggi dei titoli e delle competenze ideali per svolgere al meglio questo lavoro. In un post dal titolo vagamente shakespieriano – “Digital archiving: disrupt or be disrupted?” – Sheridan ha sostenuto la sua tesi nello scorso novembre. “C’è una forte evidenza - si legge sul blog dei National Archives - che gli archivi digitali realizzati da parte di istituzioni con una lunga e consolidata tradizione alle spalle sono i più attrezzati per lo sviluppo delle abilità necessarie alla conservazione dei record digitali”.
Il perché, secondo Sheridan, può essere riassunto in tre ragioni principali. La prima è che gli archivi di lungo corso e prestigio sono già considerati affidabili: “abbiamo dimostrato nel tempo di sapere conservare cose uniche, preziose e fragili, rendendoloe accessibili al pubblico. Abbiamo anche una forte esperienza nel garantire la provenienza e l’autenticità delle nostre collezioni”. Queste istituzioni dispongono insomma di un “capitale di fiducia” che altri soggetti non possono e non potrebbero mai costruire nel breve periodo.
La seconda evidenza è che gli archivi storici, proprio in virtù di una lunga e consolidata storia alle spalle, hanno anche maggiori probabilità di continuare ad esistere e operare con efficacia nel futuro. “Non apparteniamo alla categoria dei soggetti creati nello spazio di una notte – scrive Sheridan - le nostre istituzioni vantano una lunga tradizione alle spalle, in grado di custodire collezioni che le società e gli stati reputano di estrema importanza. E questo lavoro va avanti da centinaia di anni”.
Infine, a chi potrebbe obiettare che lunga tradizione sia pericolosamente sinonimo di aggettivi come antico e superato, Sheridan oppone l’argomentazione che gli archivi storici sono tali proprio perché in passato hanno già dato ampiamente prova di saper cambiare e adattarsi alle mutate condizioni sociali e culturali. “I progressi nella scienze archivistiche – è il suo ragionamento – hanno profondamente cambiato le pratiche e gli standard che ci siamo dati per conservare le collezioni nel migliore dei modi. Persone, luoghi e leggi possono cambiare, ma la ferma determinazione di preservare i dati pubblici fa parte del nostro DNA istituzionale, e si perpetua di generazione in generazione”.
Se quindi è assodato che il digitale impone dei cambiamenti radicali anche nel campo delle scienze archivistiche, è che tutto potrebbe senz’altro suonare come una minaccia, secondo Sheridan c’è comunque una buona notizia: gli archivi storici, infatti, sono da sempre e costituzionalmente “abituati al cambiamento”. Il cuore della questione, dunque, non è tanto cambiare una volta per tutte, ma essere del tutto consapevoli che l’evoluzione è l’adattamento sono imperativi quotidiani.
Qualsiasi sistema di conservazione resta molto effimero – conclude Sheridan – le tecnologie evolvono così rapidamente che, prima o poi, tutte le soluzioni sono destinate a diventare obsolete. Il nostro compito è pertanto quello di farci trovare pronti, al momento opportuno, per recuperare i dati contenuti nel sistema, evitando di danneggiarli o alterarli. Le collezioni di dati digitali devono essere in grado di sopravvivere a svariate generazioni di sistemi di conservazione che nascono già con una data di scadenza.
L’archivio disruptive deve essere capace di adattarsi ed evolvere incessantemente, esplorando lo scenario digitale in cui opera e comprendendo come quello stesso scenario cambian nel tempo. L’archivio digitale disruptive è continuamente chiamato a prendere decisioni intelligenti basate su una comprensione del momento estremamente precisa.
Essere archivisti oggi è qualcosa di davvero molto interessante.
Leggi l’intervento di John Sheridan sul blog dei Nationale del Regno Unito