Boyers, Pennsylvania: nell’antro della burocrazia

Il Washington Post racconta una storia così bizzarra da sembrare inventata: in una cava abbandonata, centinaia di impiegati gestiscono tonnellate di carta, solo in parte digitalizzata, per quantificare la pensione degli ex dipendenti federali

Cantami o diva…

Da che l’uomo racconta storie, nelle profondità terrestri o marine si annidano entità che rappresentano le nostre ansie e paure più incontrollabili. A ben vedere quindi, non potrebbe esserci luogo più adatto del sottosuolo per provare a descrivere l’essenza di uno dei mostri per eccellenza dei nostri giorni: quell’essere informe e a più teste chiamato burocrazia. Questo preambolo per dire che la storia raccontata di recente dal Washington Post è talmente emblematica da sembrare quasi un brillante esercizio stilistico di mitologia contemporanea. Fin dallo stesso titolo, traducibile in italiano con “La voragine della burocrazia”, tutto il racconto è d’altronde un continuo strizzare l’occhio a questo genere letterario. Fatto sta però, che nulla di quanto descritto è frutto di invenzione. È infatti assolutamente accertato che in una caverna scavata nel sottosuolo della Pennsylvania, centinaia di persone passano intere giornate a contatto con tonnellate di carta, per venire a capo della seguente domanda: a quanto dovrà ammontare esattamente la pensione di un ex dipendente dell’amministrazione statale?

Dal calcare alla carta: la strana metamorfosi di una miniera in disuso

Ma procediamo con ordine e addentriamoci nelle viscere di un racconto che ha dell’inverosimile, e potremmo descrivere come l’incubo perfetto per chi si occupa di conservazione digitale. La storia è ambientata nel piccolo centro rurale di Boyers; o meglio, in una vecchia miniera di calcare, ormai da tempo inattiva, trasformatasi in quello che il Post descrive come “uno dei luoghi di lavoro più strani dell’intera amministrazione americana”, sia per la collocazione – specifica lo stesso testo – sia per il tipo di lavoro che qui viene svolto. A circa 70 metri di profondità infatti, 600 impiegati dello U.S. Office of Personnel Management’s Retirement Operations Center lavorano dagli anni ‘70, praticamente con gli stessi ritmi di produttività degli inizi, per venire a capo dell’esatto ammontare pensionistico di ogni singolo dipendente dell’amministrazione americana. E lo fanno sottoterra – precisa l’articolo – non per ragioni legate alla privacy o alla sicurezza, quanto semplicemente perché queste operazioni richiedono tanta carta quanta solo le fauci di una vecchia miniera abbandonata riescono a contenerne.

E qui occorre scavare ulteriormente nella materia, per capire come mai in piena era di Internet e della rivoluzione digitale sia ancora concepibile qualcosa di così singolare, per giunta in un Paese normalmente all’avanguardia nel campo dell’innovazione tecnologica.

Dalla domanda ai controlli finali: le 5 fatiche di Sisifo per arrivare all'assegno

Per farlo, tocca farsi prendere per mano dalla lunga storia del Post, e fare luce sui 5, fatidici passi che separano il buon dipendente pubblico americano dal proprio assegno pensionistico mensile (nel reportage c’è anche un video che prova a riassumere nell’arco di un paio di minuti questo percorso ad ostacoli). Tutto comincia con la domanda, rigorosamente cartacea, che lo stesso inoltra alla propria amministrazione chiedendo di essere congedato. Come minimo stiamo parlando di 100.000 domande del genere inoltrate ogni anno, e già solo questo primo dettaglio aiuta a capire perché mai questa storia sia ambientata in una capiente caverna.

Caverna che nel giro di pochi giorni riceve le domande e tutta un’altra serie di documenti, sotto forma di una cartella personale per ogni singolo nuovo pensionato. Questo il nucleo di partenza dal quale comincerà il complesso lavoro di calcolo volto a stabilire la precisa entità dell’assegno. Intanto – ci tranquillizza il Post – il neopensionato riceverà comunque una quota mensile, pari a quello che si presume possa equivalere approssimativamente all’80% di quanto andrà a percepire una volta chiusa la pratica. Ma, appunto, come si arriva alla chiusura della pratica? Lo step successivo consiste nel confronto tra gli incartamenti ricevuti, con altri documenti relativi alla carriera del pensionato già stipati nel sottosuolo di Boyers. Nel 15% dei casi, questo richiede lunghe camminate negli 8 edifici che compongono il bunker, per recuperarli ad uno uno; per tutto il resto delle pratiche però, si procede in maniera decisamente più comoda e spedita, perché gran parte di quei documenti è già stata scannerizzata e conservata in appositi archivi digitali.

Carta-Digitale, andata e ritorno: la tela di Penelope 2.0

E qui si apre una storia nella storia, che pare pescare a piene mani da un altro mito dell’antichità classica. Perché se è vero che per la prima volta nell’articolo compare la parola digitale, lo è anche che subito dopo, lo stesso articolo precisa che questi documenti scannerizzati devono essere stampati su carta, per finire nella cartellina fisica di ogni singolo pensionato. “Li stampiamo ancora oggi – afferma a onor del vero un impiegato – ma in futuro questo non avverrà più perché tutto sarà in digitale”. Il problema però è che questo futuro appare distante e irraggiungibile, tanto quanto dovette apparire lontana agli impazienti Proci la realizzazione della tela di Penelope.

Ma proseguiamo con ordine: il terzo passo consiste nel reperimento di altri documenti relativi al pensionato, quelli che potrebbero non essere stati raccolti nella cartellina e giacere presso altre amministrazioni e agenzie. E allora via a telefonate, invio di e-mail e fax agli uffici presso i quali i dipendenti congedati hanno lavorato, alla caccia di queste informazioni. Un lavoro che può richiedere dai pochi giorni a svariate settimane, ma che resta comunque indispensabile per far sì che la pratica possa arrivare alla fase 4. Ed è qui che torna a fare timidamente capolino il digitale, perché una volta raccolti, tutti i dati vengono inseriti manualmente in un computer. La cartella cartacea arriva così finalmente ad avere una propria gemella informatica, e a questo punto si apre la quinta e ultima fase del processo, durante la quale un solerte impiegato si prenda la briga di verificare la correttezza di tutti i dati raccolti. Solo allora, il pensionato a stelle e strisce potrà ricevere il primo assegno contenente la quota esatta di quanto gli spetterà per gli anni di onorato servizio presso il proprio governo.

Leggi sbagliate e dipendenza dalla carta: i perché di un fallimento ciclopico

Ma perché mai per arrivare a quantificare questo dato occorre passare per un simile labirinto? “100 anni di leggi sbagliate”, sintetizza brutalmente un impiegato della “caverna”, spiegando che per effettuare il calcolo occorre rispondere a una serie di domande davvero lunga, complicata e contorta, sull’intero passato lavorativo del pensionato. Accanto a questi limiti però, ce ne sono altri direttamente legati al fatto che ancora oggi gran parte del lavoro ruota attorno alla carta, e agli inevitabili costi e complicazioni che si accompagnano alla sua gestione. Non è un caso – precisa il Post – che per quantificare l’ammontare esatto della pensione di un dipendente federale occorrano in media 61 giorni, oggi come nel 1977 per giunta. In Florida o California invece, grazie alla parziale digitalizzazione di questi procedimenti, le medie sono scese rispettivamente a 47 e 23 giorni. Senza contare il felicissimo caso del Texas, dove la parola carta è stata abolita, e il risultato è stato una stupefacente compressione dell’intero processo ad appena 2 giorni di lavoro.

A questo punto, la domanda che sorge spontanea è perché l’amministrazione statale non abbia scelto a sua volta di abbandonare la carta. La risposta, neanche tanto sorprendente, è che in effetti ci ha provato e continua tuttora a farlo, senza però venire a capo di problemi e complicazioni che continuano a sfuggirle di mano. Di rivoluzione digitale nelle cave di Boyers si parla in effetti dal 1987, e da allora ad oggi sono stati spesi 25 milioni di dollari, per lo più inutilmente, nel tentativo di concretizzarla. Tra i vari e ripetuti tentativi si è provato di tutto, dalle decisioni prese internamente, all’assunzione di schiere di consulenti ed esperti. Nessuna ricetta ha però finora funzionato, e tutte sembrano essersi infrante sul medesimo scoglio: troppo costoso e complicato – spiega uno dei professionisti del centro –digitalizzare e tenere insieme documenti e materiali provenienti da un pletora di fonti estremamente diverse, così come effettuare calcoli automatici a partire da leggi e regolamenti che non hanno nulla o quasi in comune tra loro.

Dalla storia al mito sfatato: non di sola tecnologia si nutre l’innovazione

Ed è qui che dalla storia bizzarra di una vecchia miniera riadattata a deposito inefficiente di tonnellate di scartoffie burocratiche, si passa al mito di una burocrazia che al pari di uno mostro a più teste si fa fatica a domare. La caverna di Boyers è l’emblema dei fallimenti delle politiche di e-government– sintetizza il Post – citando tra le altre cose uno studio che attesta a un misero 5% la percentuale di pieno successo dei progetti high-tech promossi dall’amministrazione americana. E per quanto riguarda i motivi – prosegue il ragionamento – quasi sempre sono gli stessi che quasi si ode rimbombare nelle pareti della vecchia miniera: “o le istituzioni hanno provato ad acquistare tecnologie che non erano in grado di sfruttare pienamente, oppure hanno realizzato solo troppo tardi che non erano esattamente ciò che faceva al caso loro”.

Back to Boyers: in attesa della Luna, ci si rifugia nei piccoli luoghi comuni

Tornando in chiusura a Boyers, il risultato paradossale è che negli ultimi 5 anni la capacità di evadere le pratiche dei nuovi pensionati è effettivamente aumentata. Più degli investimenti tecnologici però, hanno potuto le circa 200 nuove assunzioni di tecnici ed impiegati per fare meglio e in minor tempo. Ma al crescere del numero di impiegati è corrisposto un inevitabile aumento dei costi: per ogni singola pratica infatti, si è arrivati a spendere dagli 82 dollari di 5 anni fa ai 108 di oggi; mentre il sostentamento dell’intero sistema ormai pesa per 55.8 milioni di dollari sulle casse federali. Sembrerebbe un finale tutt’altro che lieto, eppure nella “caverna” c’è chi non si dà per vinto. Intanto, la quantità dei documenti digitalizzati sta crescendo progressivamente; e poi se c’è un robot a  spasso sulla  Luna – parole testuali di uno degli addetti ai lavori – prima o poi anche sottoterra si raggiungeranno livelli di innovazione tali da risolvere questo maledetto rompicapo.

Se poi non bastasse, per gli impiegati della “caverna” c’è comunque la consolazione immediata di un trattamento speciale quando giunge il “loro momento”. Non è una policy ufficiale della nostra struttura, precisa un ex impiegato congedatosi di recente, ma quando è arrivato il suo turno, veniamo a sapere da un collega, qualcuno ha dato una piccola spintarella alla sua pratica, evitandole tutta la fila che aveva davanti. Tutto il mondo è paese, verrebbe da aggiungere. E a anche Boyers, Pennsylvania, non si sfugge a una legge che sembra scritta sulla stessa materia indistruttibile che per millenni ha permesso ai miti, alle leggende e ai luoghi comuni, compresi i malcostumi, di sopravvivere e tramandarsi fino ai nostri giorni.

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