Conservazione digitale, senza fiducia il futuro è in salita
Ma le persone si fidano del fatto che le istituzioni gestiscano e custodiscano gli archivi digitali? È questa la domanda che l’esperto di conservazione digitale Bill LeFurgy si pone sul proprio blog personale, con una riflessione che trae spunto dai recenti scandali sulle intercettazioni che hanno travolto le istituzioni nordamericane. Con le rilevazioni di Edward Snowden – è la sua tesi di partenza – non si è solo scoperchiata una vera e propria spy story a tinte fosche, ma è stato ribadito e riportato alla luce che una delle attività più strategiche e peculiari delle pubbliche amministrazioni è stata da sempre, e resta tuttora, la conservazione dei dati. Che i governi abbiano sempre archiviato e custodito nel tempo le informazioni non è d’altronde un mistero – sostiene LeFurgy – ma a ben vedere quella che per secoli è stata considerata una tanto indispensabile quanto nobile missione, sembra essere sempre più vista come una pericolosa intrusione, con tutto ciò che ne consegue in termini di legittimazione e sostegno a questo tipo di attività.
Paiono insomma essere ben lontani i tempi nei quali, posando la prima pietra degli U.S. National Archives, il Presidente Herbert Hoover paragonò la nascente istituzione a un vero e proprio “tempio storico, espressione dell’anima americana”. E all’origine di questa lontananza c’è evidentemente una chiara e montante mancanza di fiducia da parte dei cittadini americani – ma viene da estendere la considerazione all’intero pianeta – nei confronti delle proprie istituzioni, e in particolar modo nel modo in cui tendono a gestire i dati e le informazioni nell’era digitale. “I notiziari sono pieni di storie relative alla violazione della privacy e al saccheggio delle identità digitali – si legge nel testo – aggiungiamo a questo le attività di spionaggio governative, e chiaramente non ci si può sorprendere del fatto che i livelli di ansia collettiva abbiano raggiunto picchi finora inesplorati”.
Posto tutto ciò, l’esperto si chiede se e quanto questo clima di scetticismo generale potrà impattare sull’operato di chi si occupa di conservazione digitale. È vero che si parla di istituzioni molto differenti da quelle coinvolte negli scandali – ammette – ma lo è ugualmente che quando si tratta di questioni del genere, si tende facilmente a fare di tutta l’erba un fascio, con buona pace delle sfumature. Lampante, a tale proposito, un esempio che ha interessato la stessa istituzione per la quale LeFurgy ha lavorato negli ultimi decenni: nel 2010, la Library of Congress annuncia l’intenzione di voler archiviare quanto pubblicato e condiviso su Twitter. Immediatamente però, scatta una vera e propria reazione di panico le cui ripercussioni si avvertono ancora oggi. C’è chi ad esempio si è chiesto di recente se il governo americano ha davvero l’intenzione di spiare tutti i profili Twitter della nazione, e chi, avendo evidentemente già trovato una risposta a questa domanda, ha creato un’applicazione Twitter (al momento apparentemente inattiva), per cancellare automaticamente i tweet, prima che finiscano sotto lo sguardo indiscreto della Biblioteca nazionale.
Come se non bastasse, in tutto ciò LeFurgy coglie un ulteriore, ironico paradosso: nel 1996, un report della task force nazionale dedicata alle attività di conservazione digitale sostenne la necessità di guadagnare il massimo di fiducia possibile, presso i cittadini e gli altri pubblici, affermandosi come soggetti estremamente competenti ed efficaci nelle attività di collezione e gestione dei contenuti digitali. Oggi però, non solo le persone non sembrano affatto contente del fatto che le istituzioni siano coinvolte in attività di questo genere, ma sono ancora più preoccupate proprio perché esse riescono a farlo in maniera sempre più efficace. Più e meglio archiviano dati – è il nocciolo di quello che potremmo definire il pensiero comune – più e meglio potranno violare i nostri diritti e interessi in futuro.
Ma allora cosa occorre fare per uscire da questa impasse? LeFurgy non ha una ricetta precisa, ma un principio di buon senso si sente di consigliarlo: o le amministrazioni pubbliche riescono a riabilitarsi agli occhi dell’opinione pubblica, affermandosi come custodi serie, competenti e realmente affidabili dei dati elettronici, oppure non solo gli archivi digitali non diverranno mai e poi mai i templi storici dell’era di Internet, ma inevitabilmente si assisterà a un ridimensionamento, se non proprio ad un declino, delle attività di conservazione digitale. Sotto i colpi di una sempre più estesa, e tutto sommato comprensibile, preoccupazione popolare.