Dai castelli ai data center, negli archivi digitali gli arsenali della nuova era
La riflessione di Simone Vettore si intitola La natura infrastrutturale degli archivi contemporanei e prende spunto da un articolo dell’archivista e medievista francese Robert-Henry Bautier, che paragonava la costruzione dei primi archivi nell’antichità a quella di veri e propri arsenali: “così come l’arsenale è una struttura deputata alla costruzione, alla riparazione, all’immagazzinamento ed alla fornitura di armi e munizioni – scrive Vettore in proposito – similmente l’archivio era il luogo in cui trovavano riparo quei documenti che sarebbero stati usati alla stregua di armi nel corso delle bella diplomatica del XVII secolo”. Venendo ai giorni nostri, l’autore traccia un parallelo con la metafora di Bautier, sostenendo che i data center attuali sono di fatto assimilabili a veri e propri arsenali del XXI secolo: “In essi – argomenta l’autore - si vanno (infatti) concentrando le ‘memorie digitali’ relative a milioni e milioni di persone, enti ed aziende (e) nella loro realizzazione vengono adottate precauzioni ed accorgimenti del tutto affini a quelle delle basi militari…”.
Vettore non manca però di sottolineare alcune differenze “macroscopiche” tra gli archivi dell’antichità e gli attuali data center: la prima è che queste strutture in passato erano al servizio di poteri vessatori e sostanzialmente anti-democratici mentre oggi costituiscono la “base per offire ‘servizi’ e/o custodire dati, documenti, etc. di cittadini liberi, di aziende operanti nel libero mercato e di istituzioni democratiche". E a ciò si aggiunge – prosegue il testo – la constatazione che mentre ieri gli archivi erano realizzati e gestiti dalle istituzioni statali o comunque pubbliche, oggi per lo più i data center, specie oltreoceano, sono in mano ai grandi colossi privati dell’informatica nonché spesso sul mercato per fornire servizi, tra gli altri, alle istituzioni pubbliche.
Sottolineando la differenza, Vettore ribadisce anche la propria idea, più volte espressa sul blog Memoria Digitale, che in Europa, proprio in virtù del carattere assolutamente strategico degli archivi, si debba procedere alla realizzazione di veri e propri data center comunitari. Al netto dei costi significativi e degli altri oneri ingenti che si accompagnano a questo scenario, secondo l’autore del post si tratterebbe infatti di una soluzione lungimirante per almeno due motivi principali:
“1)il possedere dei data center è, dal punto di vista archivistico, premessa necessaria (ma non sufficiente) per attuare le indispensabili procedure tese a garantire la continuità operativa ed il disaster recovery (il che consente in primis di salvaguardare la parte “corrente”, vale a dire quei dati e documenti contenuti nei server ed indispensabili per il proseguimento dell’attività “istituzionale” del produttore, ed in ultima analisi di garantire la conservazione nel lungo periodo; ovviamente anche un privato può attuare questi piani ma quando si tratta della cosa pubblica e, soprattutto, sono in ballo aspetti così delicati, sono dell’avviso che la P.A. debba occuparsene direttamente. 2) assicura indipendenza ed in un ultima analisi “libertà”. Il rovescio della medaglia, evidente, è che ci si deve fare carico di tutti i costi: realizzativi, di gestione e di manutenzione”.
Nel seguito della riflessione, l'autore traccia una dettagliata descrizione dei modelli realizzativi e degli aspetti tecnici che sottendono la costruzione dei data center, e passa successivamente a evidenziare come la recente produzione normativa italiana, e in particolare l’emanazione delle line guida per il Disaster Recovery delle Pubbliche Amministrazioni, riconosca di fatto l’importanza strategica dell’archiviazione e, nell’ambito di ciò, il prerequisito fondamentale della continuità operativa. Questo documento, realizzato tenendo conto di quanto previsto dal CAD, impone di fatto alle amministrazioni l’elaborazione di un Piano di Continuità Operativa (PCO) e di un analogo documento dedicato al Disaster recovery (PDR), oltre che l’individuazione contestuale di una figura responsabile della conservazione.
“Al di là del fatto che le varie amministrazioni abbiano ottemperato o meno nei tempi prescritti ai detti obblighi di legge – argomenta l’autore in proposito – mi preme qui rilevare come l’input sia stato essenzialmente ‘archivistico’: nelle citate Linee Guida si trova infatti testualmente scritto che ‘il processo di dematerializzazione promosso dal CAD [...] ha trasformato da ordinatoria a perentoria l’azione di eliminazione della carta, comporta[ndo] un incremento della criticità dei sistemi informatici che non possono più contare su un backup basato sulla documentazione cartacea’”
Infine, dopo l’elencazione delle principali conseguenze tecniche e organizzative derivanti da questo passaggio legislativo, Vettore termina la riflessione con alcune conclusioni derivanti dall’equazione tra archivi e data center, e da come la realizzazione di questa equazione causerà di fatto un vero e proprio cambio di prospettiva per chi si occupa di discipline archivistiche:
“Si tratta di un cambiamento di prospettiva di notevole portata – si legge nell’articolo – per almeno i seguenti motivi: a) in primo luogo perché si torna a parlare di archivio nel suo complesso e non per questa o quella delle ripartizioni logiche – corrente, deposito, storico – nelle quali la teoria e la legislazione tradizionalmente l’hanno suddiviso b) in secondo luogo perché l’archivio diviene infrastruttura strategica e centrale per il ‘regolare svolgimento’ della vita (digitale) di cittadini, aziende ed enti pubblici c) ultimo perché, della costruzione di tali data center / archivi ‘arsenali’, devono tornare a farsene carico gli Stati, meglio ancora se in chiave europea, l’unica che può garantire il necessario apporto finanziario nonché quell’ampiezza di spazi geografici tali da rendere la localizzazione dei DC veramente adeguata al raggiungimento dei dichiarati obiettivi di business continuity e di disaster recovery”.