Il mestiere dell'archivista digitale
Giuseppe Jepis Rivello, curatore del blog Storie di Bottega sulla testata Nòva - Il Sole 24 Ore, ha dedicato uno dei suoi ultimi post al mestiere dell’archivista nell’era digitale, intervistando per l’occasione Massimo Laurenzi. Laureato in Archivistica e Biblioteconomia, Laurenzi lavora come Responsabile tecnico, archivista e Record Manager per Bucap Spa, nonché Co-founder di Archivitaliani.it. Fa parte inoltre della redazione de “Il Mondo degli Archivi” ed è rappresentante Juniores nazionale nel Consiglio Direttivo dell’Associazione Nazionale Archivistica Italiana (ANAI), oltre che membro del Comitato Tecnico Scientifico di SOS Archivi. Di seguito le prime domande dell’intervista:
J: Massimo, parlandone con te e leggendo un po’ di cose sul portale di Archivitaliani.it ho scoperto che siete degli artigiani molto particolari, mi sono incuriosito. Siete dei mastri molto particolari voi, tu in particolare mi hai colpito per il senso che dai al tuo lavoro. Ho avuto la fortuna di lavorare a lungo con un tuo collega, Rocco Benevento, tra i fondatori del portale Archivitaliani.it. Avete una grande responsabilità voi archivisti, siete delle persone importanti per questa società.
M: Fare l’archivista significa difendere le anomalie. Imporre la connotazione umana e quella temporale in un sistema di pensiero che le dimentica continuamente. Significa confrontarsi con l’immaterialità e le relazioni personali. Consapevoli di quanto sia paradossale pensare alla formalità nel 2019. Significa andare oltre la propria attitudine: come tutti gli ‘artigiani’ anche noi abbiamo un’intelligenza manuale. Le nostre mani come quelli di ogni mastro di bottega, riconoscono prima della nostra testa le cose, i legami, i contesti, le familiarità. Come per tutti gli altri, anche per noi, la contemporaneità digitale ha ridefinito la fisionomia del lavoro, ma ci ha lasciato le coordinate sufficienti con cui orientarci. Ci ha costretti a rilevare quegli stessi legami, quei contesti, quegli elementi, con altri organi e con altre sensibilità, ma senza annullare il nostro modo di pensare.
J: A pensarci bene le botteghe degli archivisti sono così ricche che quasi sono un po’ invidioso. Sai che una delle mie preoccupazioni è capire come diamo una connotazione contemporanea ai lavori di cui parliamo. Sarebbe bello raccontare come gli archivisti di oggi si prendono cura degli archivi utilizzando gli strumenti digitali. Quello che fa la differenza secondo me è l’approccio. Essere un archivista oggi è sicuramente diverso dal passato.
M: Quello che ci troviamo a fare, come professionisti ancor prima che come fruitori è pensare agli strumenti di comunicazione, come nuovi arnesi con cui prendere confidenza. La tutela, un concetto su cui si poggia la nostra professione, ha oggi la forma della condivisione, al netto delle ‘precauzioni’ deontologiche e delle resistenze di settore.