L’uragano Sandy e i problemi degli archivi digitali
Ad alcune settimane dal passaggio devastante di Sandy, le testate americane continuano a fare riferimento all’accaduto come vicenda paradigmatica per evidenziare, tra le altre cose, i rischi di perdita o serio danneggiamento di dati e altre risorse digitali, specie se salvati su cloud. Il caso di Eyebeam, in realtà, non fa riferimento a questa specifica tipologia di soluzioni, ma viene comunque segnalato da Hyperallergic come emblematico per realizzare che in caso di disastri naturali o di altro genere, l’idea di immaterialità spesso associata al digitale viene ad essere fortemente smentita dai seri danni che anche questo tipo di risorse possono subire. Leggendo la news, si ha anzi addirittura l’impressione che se le risorse digitali danneggiate fossero state custodite anche su piattaforme di tipo cloud, forse gli sfortunati protagonisti di questa vicenda avrebbero potuto subire meno danni. Più in generale, gli stessi protagonisti parlano di una vera e propria lezione, vissuta sulla propria pelle, relativa all’importanza fondamentale di definire adeguate strategie di conservazione digitale dei propri patrimoni informativi, per scongiurare in partenza i rischi di perdita o danneggiamento che possono derivare tanto dai disastri quanto, più semplicemente, dalla fisiologica obsolescenza dei materiali.
In sintesi, la cronaca relativa agli avvenimenti racconta dell’allagamento degli uffici di Eyebeam, organizzazione che si occupa dello sviluppo e della promozione delle arti digitali, con sede nel quartiere newyorchese di Chelsea. La furia dell’acqua, si legge nell’articolo, non si è limitata a trascinare con le installazioni esposte nelle gallerie e gran parte degli arredi degli uffici, ma ha colpito in maniera particolarmente pesante gli archivi dell’organizzazione, vale a dire centinaia di DVD, dischi rigidi e nastri contenenti opere e altre informazioni di riferimento sul lavoro degli artisti entrati in contatto con Eyebeam.
“Il sale e gli altri elementi tossici contenuti nell’acqua che ha invaso gli edifici – si legge nella news – hanno rovinato praticamente tutto quello con cui sono entrati in contatto. I dati raccolti nel corso di anni e anni di lavoro, relativi alle esposizioni, ad altri tipi di documenti e ai progetti artistici multimediali, sono stati messi seriamente a rischio. Normalmente pensiamo alle creazioni digitali come a entità immateriali, ma gran parte di queste opere sono state realizzate nell’epoca precedente all’esplosione del fenomeno cloud, e salvate su supporti fisici estremamente vulnerabili. Il digitale non lo è abbastanza quando i file stipati in computer fatti di metallo e altri materiali vengono intaccati da agenti chimici e altri elementi potenzialmente nocivi”.
Nell’articolo si fa riferimento anche alle iniziative messe in atto immediatamente per salvare gli archivi di Eyebeam e il suo importante patrimonio digitale. Fondamentale, in questo senso. è stato il contributo volontario di diversi archivisti e professionisti della conservazione digitale. È stato anche e soprattutto grazie alle loro competenze in materia di recupero e salvaguardia dei dati informatici se è stato possibile limitare il più possibile i danni, si legge nella news, nella quale si specifica anche che il “team di soccorso” ha realizzato un video per documentare le proprie operazioni. A tale proposito, Hyperallergic riporta direttamente le parole dell’autore del video, l’artista John Maynard.
“In qualità di artista residente impegnato su un progetto documentario dedicato alla conservazione digitale – scrive in proposito - avevo partecipato di recente a diverse discussioni con la community di Eyebeam per definire una strategia di salvaguardia nel lungo periodo del suo patrimonio. Il disastro di Sandy è stata la scintilla che ha finalmente dato impulso al frutto delle nostre discussioni. I piani per mettere in sicurezza le collezioni, più volte rimandati in precedenza, sono di colpo divenuti assolutamente urgenti”.
Proseguendo, l’artista descrive le prime iniziative messe in atto per recuperare circa un migliaio di record seriamente danneggiati dall’acqua, e la successive richiesta di aiuto, lanciata in particolar modo sui social network, e rivolta alla comunità degli archivisti e conservatori digitali newyorchesi. Richiesta che è stata prontamente accolta da diversi professionisti, e che in pochissimo tempo ha già portato ad ottenere significativi risultati:
“In meno di due settimane – prosegue Maynard – abbiamo inventariato tutti i DVD, i nastri VHS, le cassette Beta, i Mini Dvs e gli altri supporti di storage informatico in vista del trasferimento su nuovi server dei dati salvati su di essi. Speriamo di rendere accessibile l’intera collezione nei prossimi anni, sviluppando una strategia per la conservazione digitale nel lungo termine, e facendo in modo che le best practices in materia diventino parte integrante della cultura di Eyebeam.
Speriamo che questa vicenda possa servire da lezione affinché altre istituzioni e organizzazioni mettano al sicuro i propri archivi prima che i disastri naturali o la fisiologica obsolescenza dei materiali, impediscano di accedere alle risorse e ai dati che contengono.
Questa storia diverrà a sua volta parte integrante dell’archivio, attraverso la produzione di una seria di brevi documentari dedicati alla cultura dell’archiviazione nell’era di Internet e alla sfide imposte dalla conservazione digitale massiva”.