Library of Congress: non è tutto tech quello che luccica

Da un report istituzionale, uno stato dell’arte preoccupante: la principale biblioteca degli Stati Uniti non avrebbe nessuna strategia in materia di innovazione tecnologica, e a causa di ciò la conservazione digitale del patrimonio culturale nazionale sarebbe tutt’altro che assicurata

A vederla da qui appare un po’ strana, ma a quanto pare in America c’è chi si sta chiedendo se e quanto la Library Of Congress stia realmente tenendo il passo della rivoluzione digitale. Talmente poco, secondo alcuni, che la sua stessa missione originaria, “acquisire, archiviare e tramandare alle future generazioni il patrimonio intellettuale e creativo del popolo americano”, sarebbe seriamente in discussione. La pensa così il Government Accountability Office (GAO), sezione del Congresso deputata alle attività di audit e investigazione, forte della recente pubblicazione di un report che tratteggia un ritratto impietoso sulla vocazione tecnologica dell’istituzione. “La biblioteca – si legge nelo studio – non dispone di strategie in materia di information technology, né risulta in grado di assumere una coerente direzione a riguardo”.

Strano davvero, se si pensa che nel solo 2014 a questo capitolo di spesa sono stati dedicati quasi 120 milioni di euro, circa un quinto del bilancio complessivo della biblioteca. Una cifra importante, che in mancanza di un strategia però, probabilmente non fa altro che complicare le cose. Secondo il report, alla Library of Congress non ci sarebbe nemmeno consapevolezza su quanta e quale sia la tecnologia effettivamente a disposizione. Per rimanere al solo hardware, mentre l’inventario ufficiale parla di oltre 18.000 computer attualmente in dotazione, i funzionari ne avrebbero censiti meno di 6.500. Addirittura 3 invece i dati più o meno ufficiali sui sistemi informatici disseminati tra i vari uffici: 30 la stima istituzionale, 46 quella frutto delle indagini del GAO, 70 il picco cui si giunge se si chiede ai vari responsabili di area di azzardare stime a riguardo.

“La verità – ha affermato il responsabile del report Joel C. Willemssen al Washington Post – è che alla Library of Congress nessuno ha idea di quanto si spenda e per cosa in tecnologia, e il fatto che negli ultimi 3 anni si siano avvicendati 5 Chief Information Officer (l’equivalente dei nostri dirigenti dei sistemi informatici) è fonte di grande preoccupazione”. D’altronde la questione del CIO è di lunga data: dal 2012 la biblioteca non dispone di una figura fissa in quella casella, e dal 2000 in avanti diversi audit hanno posto l’attenzione su una vera e propria violazione delle norme federali, visto e considerato che, stando alla legge, la Library Of Congress dovrebbe avere in pianta organica un dirigente a presidio delle questioni tecnologiche.

Venendo al perché di un simile stato dell’arte, in cima alla lista degli indiziati gli autori del report fanno un nome e un cognome. Quelli di James Billington, il bibliotecario 85enne a capo della Library of Congress dal 1987, anno in cui fu issato al comando da Ronald Reagan. Da allora, stando a gran parte della stampa mainstream a stelle e strisce, Billington avrebbe regnato come un re poco o per nulla ispirato su una istituzione che in effetti, dalla sua fondazione a oggi, è stata quasi sempre gestita come una monarchia. Appena 12 i direttori avvicendatisi in oltre 200 anni di storia, 2 soli i casi di rimozione prima del loro pensionamento (l’ultima volta risale al 1861, sotto la presidenza di Abramo Lincoln), e addirittura 2 i direttori che sono morti in ufficio, tenacemente attaccati al timone.

Tornando a Billington, dal Washington Post emerge il ritratto di un attempato signore, assolutamente refrattario all’uso dell’e-mail e di qualsiasi altra tecnologia, compreso il cellulare, a quanto pare molto più preoccupato di preservare la propria autorevolezza che di traghettare la maggiore istituzione culturale degli Stati Uniti nell’era digitale. “A dire il vero Billington non è proprio più in grado di reggere il timone”, ha affermato al Post Karl Schornagel, ispettore generale presso la biblioteca fino al 2014 e dalla allora in pensione. L’intera istituzione, a suo avviso, sarebbe “in balia di fazioni libere di agire a proprio piacimento”.

Dando credito a queste voci, stupisce forse un po’ meno che la biblioteca più famosa del mondo, spesso e volentieri citata per il pionierismo tecnologico anche nel campo della conservazione, sia in realtà molto meno preparata di quanto si possa pensare a reggere l’urto della nuova era digitale. Non che manchino l’effervescenza o la buona volontà, ma sarebbe proprio il quadro di insieme a non essere adeguato. Con carenze molto allarmanti, scrivono al GAO, sui versanti della sicurezza informatica, del rispetto della privacy e dell’allestimento di infrastrutture che permettano di preservare nel tempo il patrimonio culturale americano.

A fronte di tante e tali bacchettate, al GAO si sono però premurati anche di fornire raccomandazioni per invertire la rotta. 30 quelle elencate in conclusione del report, a cominciare dalla assoluta necessità di assumere un CIO in pianta stabile, per proseguire con quella di definire a stretto giro un nuovo piano strategico in materia di information technology e rivedere regole interne e governance di conseguenza.

Detto e quasi già fatto, almeno stando agli annunci: entro 90 giorni i vertici Library of Congress si sono impegnati a redigere un nuovo piano strategico, assumere un CIO a tempo indeterminato e definire nuove policy che permettano di monitorare i costi, accrescere i livelli di sicurezza informatica e addirittura rispondere più e meglio ai “reclami tecnologici” degli utenti. Resta da vedere se e quanto agli annunci seguiranno i fatti, o se toccherà constatare che anche al di là dell’Atlantico tra il dire e il fare ci sia di mezzo un oceano fatto di parole, sprechi e promesse non mantenute.

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