Mali, buone notizie per i manoscritti del Sahara
Un primo, pessimistico resoconto sui cosiddetti Manoscritti del Sahara era stato diffuso la settimana scorsa, all’indomani della liberazione di Timbuktu da parte delle forze speciali francesi. Come riportato ad esempio dall’Agenzia Nena, inizialmente si era pensato alla distruzione quasi totale di circa 3.000 manoscritti risalenti all’epoca medievale custoditi presso l'Istituto Ahmed Baba, dato alle fiamme dai ribelli jihadisti che avevano occupato la città maliana lo scorso anno. A diffondere la notizia era stato, parlando dalla capitale dal Mali Bamako, il sindaco di Timbuktu (definita la “perla del deserto” per i tanti tesori culturali custoditi in città), spiegando che prime ricostruzioni dal posto parlavano di danni non meglio precisati, derivanti da un incendio alla biblioteca.
Danni che nel corso delle ore si era cercato, forse con troppa precipitazione, di quantificare, tratteggiando un quadro molto pessimistico della situazione, e lasciando presagire che solo pochissimi manoscritti erano stati preservati dalla furia del fuoco, grazie ad un progetto di digitalizzazione a sua volta contemplato nel più ampio South African-Mali project. Quest’ultimo, si leggeva nelle notizie, era lanciato nel 2003 a seguito di un accordo tra i governi del Sudafrica del Mali ed era finalizzato proprio alla preservazione dell’importantissimo patrimonio di manoscritti custodito a Timbuktu. Ecco quanto scritto a riguardo nella news dell’Agenzia Nena:
“Sarebbero circa 3.000 i manoscritti distrutti, molti dei quali risalenti al XIII secolo. Lo ha detto Ali Baba, un impiegato dell'Istituto Ahmed Baba: ‘Sono dei banditi. Hanno bruciato alcuni manoscritti e ne hanno rubati molti altri che hanno portato con loro’.
L'Istituto di Studi Islamici Avanzati e di Ricerca, che prende il nome dallo studioso e scrittore medioevale Ahmed Baba, contemporaneo di Shakespeare, è una delle tante biblioteche della città che conservano documenti risalenti al tredicesimo secolo e ospita circa 20.000 manoscritti, molti dei quali nei depositi sotterranei. Il nuovo edificio progettato da architetti sudafricani è stato finito di costruire nel 2009, ad un costo di circa 5 milioni di sterline, in sostituzione della precedente struttura fatiscente e vecchia di 40 anni. Con i suoi 4.600 metri quadrati di grandezza, dispone di sistemi di aria condizionata per preservare i manoscritti dall'usura del tempo e di un sistema antincendio automatizzato che sfortunatamente, però, non è bastato a proteggere le preziose carte.
La costruzione del nuovo edificio rientra nel South African-Mali project avviato nel 2003 dall'allora presidente del Sud Africa Thabo Mbeki, nell'ambito dell'iniziativa culturale New Partnership for Africa's Development. Tale progetto ha visto la collaborazione dei governi maliano e sudafricano allo scopo di preservare i manoscritti di Timbuktu e ha fornito a personale del posto corsi di formazione sui metodi di conservazione e assistenza nella costruzione di un nuovo edificio atto ad ospitare la collezione dell'Istituto Ahmed Baba.
I manoscritti raccolti dall'Istituto rappresentano la parte più significativa ma meno conosciuta del patrimonio culturale africano e testimoniano il sapere africano in ambiti come la legge, l'astronomia, la teologia, la medicina e il commercio.La ricerca storica su questi documenti ha permesso di capire più a fondo la cultura africana dei secoli precedenti l'impatto della colonizzazione europea sulle tradizioni e i saperi locali.
Oltre a rappresentare una parte consistente e di inestimabile valore del patrimonio storico-culturale sub-sahariano, i manoscritti conservano traccia del processo di colonizzazione. Accanto a quelli su carta fatta a mano, infatti, molti altri sono stati scritti su carta di tipo industriale di produzione francese, a testimonianza dell'incontro tra ‘l'età del manoscritto’ e ‘l'età della riproducibilità meccanica’, come spiega Shamil Jeppie, professore presso il Dipartimento di Studi Storici dell'Università di Cape Town, Sud Africa.
La rivoluzione della stampa arriva in Africa Occidentale con il dominio coloniale francese del XIX secolo e nel territorio più interno, dove si trova Timbuktu, solo molto più tardi. Così, ancora nel XX secolo libri e opuscoli hanno continuato a essere scritti a mano nelle versioni indigene delle calligrafia araba. Con l'importazione, durante il periodo coloniale, di carta prodotta industrialmente per uso amministrativo e scolastico, i vecchi manoscritti prodotti anticamente su carta fatta a mano sono stati copiati su questo nuovo tipo di carta, facilmente circolabile e non soggetta agli imprevisti del commercio attraverso il Sahara. Questo ha fatto sì che, durante l'epoca coloniale della stampa, i testi potessero essere scritti a mano ma in più breve tempo, anche se su carta prodotta in serie e non artigianale. Negli archivi di Timbuktu si trovano numerosi testi scritti a mano su fogli a righe, quindi su carta industriale, il cui contenuto risale a secoli fa, e che costituiscono il cosiddetto catalogo francese.
Ma oggi a Timbuktu solo uno o due eruditi sono in grado di scrivere le loro opere in scrittura araba sudanica, quella caratteristica di questa regione, e uno o due copisti sono in grado di riprodurne la copia.
Scritti in arabo e, alcuni, in lingue africane come lo Songhai, il Tamashek e il Bambara, non tutti i manoscritti sono stati catalogati e digitalizzati, ha dichiarato al The Guardian Seydou Traoré, che ha lavorato presso il Baba Ahmed Institute dal 2003. Risalenti per la maggior parte ai secoli XIV e XV non sono numerati ma riportano l'ultima parola della pagina precedente all'inizio di quella seguente. Solo per alcuni era cominciato un lavoro di numerazione sotto la direzione di un team internazionale di esperti…”.
Fortunatamente però, nei giorni successivi, complice anche la possibilità di verificare la situazione sul campo, questo primo tragico bilancio pare essere stato fortemente ridimensionato. Una news pubblicata da BBC il 2 febbraio, dal quanto mai significativo titolo “L’arte di Timbuktu di salvare i manoscritti”, lascia ad esempio intendere che la grande maggioranza dei documenti storici custoditi nella città maliana sarebbe stata in realtà preservata dalla furia distruttrice dei jihadisti. A diffondere ottimismo in tal senso sarebbero state in particolar modo le dichiarazioni del ricercatore sudafricano Mohamed Mathee, direttamente coinvolto nel Timbuktu Manuscripts Project, e più volte presente in Mali nell’ultimo decennio proprio per seguire lo stato di avanzamento di questa fondamentale opera di conservazione. Mathee ha fatto riferimento a contatti costanti con fonti presenti a Timbuktu, spiegando che la gran parte dei manoscritti, presumibilmente il 95%, sarebbe stata salvata e messa in sicurezza ben prima del recente acutizzarsi degli scontri, che avrebbe portato i ribelli jihadisti a bruciare monumenti, biblioteche e altri edifici prima di abbandonare la città.
Fondamentali, secondo il ricercatore sudafricano, sarebbero state soprattutto la digitalizzazione già avvenuta di molti documenti nell’ambito del South African-Mali project, e non solo di pochi esemplari come riportato all’indomani della liberazione di Timbuktu, ma anche e soprattutto una sorta di vocazione naturale alla conservazione delle fonti storiche da parte degli abitanti di questa città. Vocazione che sarebbe iscritta nel suo patrimonio genetico e che, ha lasciato intendere Mathee, ha permesso a Timbuktu di affermarsi nei secoli come vero e proprio scrigno di tesori storici, artistici e culturali di inestimabile valore.
“Stando alle parole del sig. Mathee – si legge sul sito della BBC –gli abitanti di Timbuktu hanno una tradizione secolare nella protezione e nella conservazione dei manoscritti.
‘Pensano in completa autonomia quando hanno a che fare con rischi di questo genere – afferma - solitamente prendono con sé i documenti e li mettono al sicuro presso le proprie abitazoni’.
Negli ultimi anni inoltre, migliaia di documenti custoditi nella biblioteca erano stati messi in sicurezza e salvati in digitale, nell’ambito di un progetto portato avanti già da diverso tempo. Grazie a ciò, i ricercatori sudafricani possono continuare a lavorare ai manoscritti dai proprio computer, studiandone le scansioni digitali (…)
Il sig. Mathee – si legge in un successivo passaggio – spiega anche che gran parte dei manoscritti era stata portata via dalla biblioteca prima che i ribelli islamisti occupassero la città nell’aprile del 2012. ‘Gli archivi e gli scaffali vuoti non costituiscono una prova certa a sostegno del fatto che i manoscritti siano stati dati alle fiamme e distrutti’. I ricercatori sudafricani pensano che, a causa dei disordini dello scorso anno, possano essere andati persi circa 2.000 manoscritti. Ma a quanto pare questa città mitica e leggendaria è riuscita a salvare la gran parte die suoi antichi tesori.
‘È proprio ciò che rende unica Timbuktu – spiega il sig. Mathee – l’idea della biblioteca-archivio era nata proprio con l’intento di salvare questi manoscritti, non solo in periodi di guerra e turbolenza, ma anche dalla furia del fuoco e degli altri elementi naturali. Vogliamo che il mondo si interessi a questa tradizione di conoscenza e vogliamo provare a renderla evidente in modo ancora più tangibile rispetto a quanto avvenuto finora’”.