Mundaneum, l’Internet prima di Internet
La Biblioteca d’Alessandria è il riferimento immediato che viene in mente quando ci si chiede se nella storia dell’umanità sia già esistito qualcosa di paragonabile alla odierna Internet. È in questo mitico edificio che si narrava fosse depositata tutta la conoscenza universale, e non è un caso che i pionieri che diedero vita a Internet, e con loro anche quelli del web archiving, abbiano spesso suggerito la metafora per rendere il senso delle proprie imprese. Dando tutto ciò per assodato, un altro “antenato” dell’odierna rete delle reti, decisamente più “giovane” rispetto all’antichissima biblioteca egiziana, può essere rintracciato in uno strano ibrido tra archivio e biblioteca creato in Belgio nei primi decenni del secolo scorso. Nella città medievale di Mons, nel 1918 aprì i battenti Mundaneum, l’edificio che nasceva con l’ambizione di raccogliere e classificare l’intero patrimonio del sapere universale.
La struttura diede corpo alle illuminanti visioni di due avvocati convinti che una simile impresa avrebbe potuto rafforzare la conoscenza reciproca, e di conseguenza il rispetto e il dialogo tra le diverse culture. Il primo dei due, Henri La Fontaine, fu tra i pacifisti più influenti della propria epoca, come testimoniano il Nobel per la Pace assegnatogli nel 193 e il fondamentale contributo che offrì negli anni a seguire alla nascita della Società delle Nazioni, “antesignana” della Nazioni Unite. A questa vera e propria passione per la pace tra i popoli, La Fontaine affiancò un amore altrettanto intenso per i libri e la bibliografia. Proprio su questo terreno, trovò un fecondo punto di incontro con Paul Otlet, l’altro fondatore di Mundaneum.
Otlet è passato a sua volta alla storia come uno dei padri delle scienze dell’informazione. Per tutta la vita il suo grande obiettivo fu di creare ordine nell’immensa mole di saperi e conoscenze disponibili, di modo che le persone potessero trovare più facilmente i contenuti di proprio interesse. Con gli anni Otlet affinò sempre più il suo pensiero, fino ad arrivare a teorizzare, nel 1934, la costruzione di una rete di computazione globale, composta da “telescopi elettrici”, una sorta di ibrido tra schermi e telefoni. Grazie al loro utilizzo, le persone avrebbero potuto accedere alle informazioni di proprio interesse, visualizzandole anche a migliaia di km di distanza dalla loro ubicazione fisica. Se si pensa che per descrivere il progetto Otlet usò il termine francese “réseau”, in italiano rete o ragnatela, è lampante la profonda ricaduta del suo pensiero sul nostro presente.
Mundaneum nacque proprio come “epicentro” di questa visione. Nel 1918 Otlet era ancora abbastanza lontano dall’idea di network maturata successivamente, ma il museo nato nelle strette stradine di Mons operò esattamente come banco di prova per validare e affinare le sue teorie, assieme a quelle di stampo internazionalista professate da La Fontaine. Col passare degli anni Mundaneum si affermò come un vivace e sempre più influente luogo di produzione e conservazione culturale, arrivando a custodire 12 milioni di schede di catalogazione. Un immenso patrimonio bibliografico, ordinato con il sistema della Classificazione decimale universale, concepito appositamente per dare un sostegno concreto alla sua utopia, e tuttora in utilizzo, seppure in una versione ampiamente evoluta e potenziata.
Il sistema di classificazione è uno dei principali lasciti di Mundaneum, ma non si tratta dell’unico. La stessa idea di Unione Europea, da intendersi come pacificazione e incontro fecondo tra le differenti culture del continente, origina chiaramente dalle correnti di pensiero che ispirarono La Fontaine e Otlet. Non è d’altronde casuale che il progetto Mundaneum fu interrotto nel 1934, con l’intensificarsi degli attriti che poi sfociarono nella Seconda Guerra Mondiale. E ancor più simbolico è l’episodio che portò alla sua definitiva rovina: dopo l’invasione tedesca del Belgio, nel 1940 l’edificio fu parzialmente distrutto da un’azione bellica. A causa di ciò, gran parte del suo patrimonio andò distrutto per sempre.
Per fortuna il destino ha offerto una significativa occasione di riscatto a Mondaneum. Nel 1974 uno studente australiano venne a conoscenza di questo ambizioso progetto e decise di riportarlo almeno parzialmente in vita. La parte del suo patrimonio sopravvissuta alla guerra e all’usura del tempo, tra cui le preziose schede di catalogazione, fu trasferita in un vecchio negozio art decò di Mons. È in questa sede che la struttura ha ripreso le proprie attività dal 1998. Potendo contare su un archivio che contiene le schede di catalogazione originarie, e in aggiunta giornali, riviste, cartoline e poster delle epoche passate, Mundaneum opera oggi come piccolo museo, sala di lettura e spazio espositivo dedicato alla produzione culturale.
Tutto ciò, mantenendo un occhio di riguardo per tutto ciò che permette di rimarcare il legame tra le idee che portarono alla sua nascita, e le loro importanti ricadute nei decenni successivi. Su tutte, la rete, l’identità europea e il rispetto tra le culture. Come racconta la testata inglese The Independent, sulle pareti della sua hall centrale campeggiano oggi foto riguardanti le varie forme di contrasto e impedimento ai flussi migratori, tra cui la sempre più diffusa tendenza ad erigere muri. Sempre dall’Independent si apprende che una delle ultime mostre organizzate dal museo ha ripercorso la storia dei codici e degli altri linguaggi cifrati, da quelli a opera degli scribi egiziani, passando per le incisioni rinvenute su antichissime porcellane irachene, fino al fondamentale contributo offerto da Alan Turing, padre dell’informatica contemporanea, per la decrittazione del codice Enigma, utilizzato dalle forze naziste per permettere la comunicazione delle proprie truppe al fronte.
Un’ulteriore conferma di quanto sia forte il legame tra la storia di Mundaneum e le entità internazionali e immateriali che modellano il nostro presente arriva dai sempre più frequenti riconoscimenti ricevuti dalla struttura negli ultimi anni. Tra gli altri, una partnership tra Google e il suo archivio, stipulata nel 2012, e l’ottenimento della European Heritage label, da parte della Commissione Europea, per l’importante contributo alla costruzione dell’identità europea. Riconoscimento al quale si accompagnò la scelta di Mons come Capitale europea della cultura nel 2015.