Stephen Hawking: una voce per sempre
Pochi giorni dopo la morte di Stephen Hawking, il San Francisco Chronicle ha raccontato una storia che sembra uscita da un libro di fantascienza, ma che in effetti è realmente accaduta e nel suo rocambolesco sviluppo può dire tanto su quanto possa essere importante la conservazione digitale. Anche dove meno ci si aspetterebbe di sentirlo, e forse a maggior ragione proprio per questo.
La storia è quella di CallText 5010, un programma di sintetizzazione vocale che dal 1985 in avanti è stata l’unica e inconfondibile voce di Hawking. Dall’impostazione fortemente robotica, Hawking l’ha amata a tal punto da arrivare a considerarla come unica e sola espressione della propria identità. “Il suo unico difetto - ebbe a dire scherzando durante una delle prime occasioni pubbliche in cui se ne servì - è che mi dà un accento americano”.
Trattandosi però di un programma informatico, per giunta racchiuso in una scatolina fissata allo schienale della sedia a rotelle, anche CallText 5010 è andata incontro a un inevitabile destino di obsolescenza tecnologica. E la storia del San Francisco Chronicle racconta proprio di come un manipolo di ingegneri e programmatori sia riuscito a salvare la voce sintetica dall’oblio digitale.
Il protagonista principale è Eric Dorsey, a suo tempo a capo del team di programmatori che crearono CallText 5010. Negli anni successivi Dorsey aveva preso tutte altre strade, mentre l’evoluzione tecnologica assumeva ritmi sempre più frenetici e i codici sorgente e l’altro bagaglio di conoscenze riguardanti la sua vecchia creatura andavano lentamente dispersi. Tutto ciò, fino al 2014, quando Dorsey ricevette una mail da Jonathan Wood, responsabile tecnico dei sistemi di comunicazione di Hawking: l’hardware di CallText 5010 era sempre più usurato, presto il sintetizzatore avrebbe smesso di funzionare, ma per nulla al mondo Hawking avrebbe accettato di cambiarlo con uno nuovo. La missione era di tirarlo fuori dalla sua vecchia e malconcia scatola e dargli una nuova vita, senza che nessuna delle sue inconfondibili caratteristiche andasse perduta.
Una missione apparentemente impossibile, ma che alla fine Dorsey e i suoi compagni sono riusciti a portare a termine. Per giunta in extremis, solo poche settimane prima che le condizioni di Hawking si aggravassero irreversibilmente. Ancora in tempo però, perché lo stesso scienziato potesse dirsi pienamente soddisfatto del lavoro finale: "I love it", le sue parole riportate dal Chronicle. “Hawking era un ateo profondamente scettico sulle possibilità di vita ultraterrena - si legge in chiusura di un articolo che vale assolutamente 20 minuti di break - a questo punto però, nessun ostacolo fisico può più impedire alla sua voce di vivere per sempre”.