Un approfondimento sui cultural data

Cosa si intende col termine e cosa accade quando sempre più patrimoni culturali di pubblico dominio vengono riprodotti, resi accessibili e conservati in digitale, spesso su intervento dei privati? Ne scrive Giuditta Giardini per Arteconomy - Il Sole 24 Ore

Cosa si intende per cultural data e a chi va ricondotta la loro proprietà nel momento in cui, anche nel campo dell’arte e della conservazione, si assiste alla sempre maggiore predominanza del paradigma digitale? La domanda è al centro di un articolo a cura di Giuditta Giardini per Arteconomy - Il Sole 24 Ore. “Il termine ‘cultural data’ - si legge in apertura - è stato coniato da Lev Manovich, scrittore e docente di Computer Science Program delle City University di New York nel 2007 e ripreso nel 2014 dall'archeologo Neil Asher Silberman, sulla rivista giuridica International Journal of Cultural Property profetizzando il passaggio da beni culturali “materiali” a cultural data ossia riproduzioni, in formato digitale, di opere d'arte o monumenti esistenti o, più in generale, il corredo di informazioni culturali in cui l'arte è smaterializzata. Dopo meno di quattro anni il vaticinio di Silberman sembra avverarsi, non c'è opera d'arte al mondo che non sia stata riprodotta digitalmente e di cui non possediamo cultural data”.

A conferma di ciò, la Giardini fa riferimento a esperienze in materia, in svariati ambiti di attività, tra i quali i progetti Google Arts&Culture, Object ID ed Europeana, per arrivare alle vere e proprie operazioni di archeologia digitale che hanno portato alla riproduzione virtuale di patrimoni architettonici, artistici e culturali andati distrutti, quali la città di Palmira, in Siria, e le statue dei Buddah nella valle di Bamiyan, in Afghanistan. In chiusura, la Giardini si interroga quindi su chi sia effettivamente titolare di dati digitali riguardanti patrimoni fisici fin qui considerati di pubblico dominio, e sui diversi scenari che possono discendere dal modo in cui si risponderà a questa domanda:

Alla luce di queste novità sorgono spontanei interrogativi sul diritto di proprietà e la fruizione di questo patrimonio smaterializzato, che esulano dalle classiche querelle in tema di diritto d'autore sulle tecniche utilizzate. Non è da escludere che il passaggio dal materiale al digitale potrà tradursi anche in passaggio da proprietà pubblica, condivisa, a proprietà privata, cambiando così le modalità di accesso al dato culturale. Per fare un esempio: l'opera perduta, che prima poteva essere visibile, godibile, fotografabile e condivisibile da tutti, potrà diventare patrimonio esclusivo delle società che si sono operate per la raccolta dei dati culturali rendendoli poi accessibili soltanto dietro pagamento.

Sembra quindi opportuno precisare che digitalizzazione si coniugherà con “democrazia” e “conservazione” solo fino quando essa sarà condivisa e cioè aperta al pubblico; quando queste caratteristiche verranno meno e si permetterà la speculazione di pochi sulla memoria comune, sarà giunto il momento di ridiscutere creazione, conservazione e accesso ai cultural data.

Leggi l’articolo integrale su Arteconomy - Il Sole 24 Ore

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ultima modifica 2018-07-13T13:59:00+01:00
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