Vint Cerf: “un buco nero minaccia i nostri dati digitali”
“Con assoluta incoscienza, stiamo gettando tutti i nostri dati in un vero e proprio buco nero dell’informazione”. Questo il monito lanciato da Vint Cerf, informatico statunitense che ha fatto la storia di Internet, nel senso letterale del termine visto che ha dato un impulso fondamentale alla sua creazione, e oggi tra le altre cose è il responsabile di Google per tutte le attività di sensibilizzazione relative all’importanza della rete. Come riportato tra gli altri dal Guardian, è proprio durante una iniziativa di evangelizzazione svoltasi a San Jose, in California, che Cerf ha parlato del rischio molto concreto di una “generazione dimenticata, se non addirittura di un secolo dimenticato”, a causa dell’obsolescenza tecnologica. Il ragionamento di Cerf – senz’altro comune a chi frequenta abitualmente queste pagine – è che molto presto, se non vi porremmo rimedio, con la progressiva scomparsa dei programmi e degli strumenti informatici usati per la produzione e la condivisione dei contenuti digitali, quegli stessi contenuti saranno destinati a scomparire, perché non sarà più possibile accedervi in alcun modo.
Se pensiamo a quanta dell’informazione sul nostro vissuto viene prodotta in digitale, tipo le e-email, i tweet e più in generale il world wide web – ha affermato Cerf – è evidente che stiamo correndo il rischio di perdere gran parte della nostra storia. Non vogliamo che le nostre vite digitali si dissolvano nel nulla e se ci interessa conservarle dobbiamo essere certi che gli oggetti digitali creati oggi possano essere accessibili anche in futuro.
Andando oltre, Cerf ha evidenziato un vero e proprio paradosso dell’era di Internet: tutti siamo costantemente impegnati a digitalizzare qualsiasi cosa, dalle foto, alla musica alle lettere, con la certezza di preservarla in questo modo dall'oblio. Ma davvero in pochi si pongono il problema relativo a se e quanto dureranno queste digitalizzazioni.
Digitalizziamo le cose pensando di preservarle per sempre – ha spiegato – ma quello che non capiamo è che se non andiamo oltre la sola digitalizzazione, queste versioni non saranno sicuramente più durevoli, e potrebbero addirittura essere più effimere, degli originali analogici.
Approfondendo il discorso, Cerf ha aggiunto che il rischio di obsolescenza non riguarda solo i materiali come i videogiochi – cosa di per sé già molto preoccupante, visto quanto hanno significato e continuano a significare nella nostra epoca – ma potrebbe addirittura estendersi a documenti potenzialmente molto rilevanti per gli storici di domani. Finora è bastato recarsi nelle biblioteche per accedere ad esempio alle corrispondenze ufficiali tra i rappresentanti delle istituzioni e ricostruire intere vicende. Oggi però quello corrispondenze potrebbero essere scambiate via e-mail, e magari un domani diverrà impossibile recuperarle dagli hard disk sulle quali vengono prodotte e custodite.
Lo stess Cerf ha ammesso che per alcuni tipi di documenti e fonti sono stati fatti notevoli passi avanti in materia di conservazione digitale, ma ha ammonito sul fatto che molto spesso gli storici hanno scoperto quasi per caso elementi e aspetti di vitale importanza, laddove non si sarebbe mai immaginato di trovarli. Per fare un esempio, informazioni fondamentali su come i matematici dell’antichità formularono e svilupparono il concetto di infinito furono trovate in un antico libro di preghiere bizantine relativo al 13esimo secolo. “È sorprendente quanto siamo riusciti ad apprendere su civiltà precedenti grazie a documenti conservati per puro caso”, ha spiegato, lasciando intendere che la preservazione dei contenuti digitali deve essere il più possibile diffusa e sistematica e non può limitarsi ai soli oggetti che oggi, con una prospettiva per forza di cosa limitata e parziale, si presume saranno realmente rilevanti per le generazioni future.
Come se tutto ciò non bastasse, Cerf ha sottolineato che la conservazione digitale si scontra anche con un altro grandissimo ostacolo, forse addirittura superiore a quelli di natura tecnologica. Su questi terreni si gioca solo metà della battaglia, ha spiegato, occorre infatti fare i conti anche con le questioni legali che molto spesso impediscono la copia e la conservazione dei contenuti digitali. “Per fare le cose correttamente – ha concluso – bisognerebbe contemplare fin da subito i diritti di conservazione nei più ampi ragionamenti relativi ai copyryght, ai brevetti e alle licenze. Stiamo parlando della necessità di preservare contenuti per centinaia o migliaia di anni”. E speriamo si possa continuare parlarne, accedendo anche a contenuti come la testimonianza di Cerf, fra migliaia di anni.