Vinton Cerf: l’obloescenza dei software "nemica" della conservazione

L’allarme del co-inventore dei protocolli Tcp/Ip: il frenetico cambiamento dei programmi informatici rischia di rendere illeggibili le miniere di dati digitali in costante crescita. Ma i metadati possono essere una soluzione

La notizia su Il Sole 24 Ore

Come si apprende su Il Sole 24 Ore, l’informatico statunitense – da molti considerato come uno dei padri di Internet – ha denunciato i rischi di perdita di gran parte delle informazioni attualmente prodotte e condivise in digitale, durante occasione di un evento svoltosi di recente negli Stati Uniti. Lo spunto è arrivato da un’esperienza personale: Cerf non è stato più in grado di leggere e utilizzare alcuni file realizzati anni prima con una suite di programmi per la produttività, mandata in soffitta da nuove versioni. Trascendendo il caso specifico, quello che è emerso dal suo discorso è che la necessità di aggiornare con sempre maggiore frequenza i software ha senza dubbio degli effetti deleteri sulle ambizioni di chi voglia preservare nel lungo termine i dati e più in generale la memoria digitale. Memoria che non può sopravvivere a soli colpi di backup, ha spiegato l’informatico, perché per quanto si possano travasare i file di supporto in supporto, se vengono a mancare i software e le applicazioni per leggerli, quei bit resteranno lettera morta. Lo stesso Cerf ha però sottolineato come un corretto utilizzo dei metadati, e per utilizzo si intende anche la loro conservazione, può risolvere o almeno in gran parte arginare questo tipo di problemi.

“Come ovviare – si legge nell’articolo de Il Sole 24 Ore – al rischio di perdita di milioni di informazioni? La ricetta di Cerf è nella sua essenza molto semplice: preservare i metadati, e cioè quelle informazioni che descrivono un insieme di dati e che quindi consentono di risalire alle condizioni in cui i dati stessi sono stati prodotti, organizzati e archiviati.

Garantire lo status di bene durevole e senza scadenza all'immenso patrimonio di materiale digitale generato da ogni singolo individuo, aziende ed organizzazioni di vario genere è la vera sfida da vincere. Magari, come ha suggerito Cerf, sfruttando i metadati come una sorta di ‘digital vellum’, di pergamena digitale capace di preservare i contenuti per migliaia di anni. Ben venga quindi il fatto che, a suo dire, si tratti di un problema noto e a cui si sta lavorando per venirne a capo”.

L’articolo integrale su Il Sole 24 Ore

Un commento a margine di Simone Vettore

Sul blog Memoria Digitale, l’esperto di conservazione Simone Vettore ha dedicato un commento agli spunti sollevati da Vinton Cerf. Vettore spiega che la soluzione proposta dall’informatico coincide in buona sostanza con l’emulazione, aggiungendo che tutti i programmi e progetti di ricerca promossi in questo campo negli anni scorsi sono stati accantonati a causa della complessità tecnologica e degli alti costi che ne derivavano. Come spiegato però dallo stesso informatico statunitense, l’esplosione del fenomeno cloud potrebbe cambiare le carte in tavola, e aprire nuovi scenari per un forte rilancio sul terreno dell’emulazione. Vettore prova a immaginare proprio questi scenari, non mancando di sottolineare come proprio il cloud, da molti considerato inadeguato per serie finalità archivistiche, potrebbe essere paradossalmente la soluzione ideale per il futuro della conservazione.

“Secondo Cerf – scrive Vettore – non è da escludere che il cloud computing possa venire in soccorso consentendo di emulare vecchi hardware in cui far girare altrettanto vecchi sistemi operativi ed applicativi.

È proprio su questo aspetto che voglio appuntare la mia attenzione: come risaputo molte start-up (soprattutto quelle tecnologiche) sfruttano le infrastrutture della nuvola (potenti quanto bisogna e scalabili) per testare i propri nuovi programmi / applicativi prima di mettersi sul mercato. In essa queste aziende, in altri termini, trovano il giusto compromesso tra potenza di elaborazione e costi (non serve infatti acquisire una infrastruttura ma si può attendere, prima di compiere questo eventuale passo, il responso del mercato nei confronti dei prodotti / servizi proposti).

Analogamente non è inverosimile che si possano sfruttare queste caratteristiche del cloud computing per realizzare, ad un costo accettabile, ambienti di emulazione che, peraltro, avrebbero il pregio di poter essere messi online e di essere dunque raggiungibili da una vasta platea di utilizzatori.

In altri termini il comunque incomprimibile costo di sviluppo dell’ambiente di emulazione potrebbe essere ammortizzato o perlomeno trovare una sua giustificazione economica (ma anche di utilità sociale) in virtù del fatto che esso si rivolge ad una platea tendenzialmente identificabile come l’intera cittadinanza: come non pensare, corro un po’ con la fantasia, alla realizzazione di una sorta di “servizio di emulazione” online al quale gli utenti accedono caricandovi (se del caso anche a fronte del pagamento di un modico prezzo) i propri vecchi file non più supportati dalle combinazioni HW / SW presenti nei nuovi device?...”.

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