Yotta, bronto, hella e l’esplosione degli archivi digitali
Se mega, giga e ormai anche tera sono ampiamente entrati nel senso comune, suggerisce Pietro Minto su Rivista Studio, sarà presto necessario abituarsi a nuovi nomi per provare a descrivere l’immane rivoluzione dei big data in atto. Qualche nome, come yotta ad esempio, comincia già a circolare, anche se colpisce ancora per il suo sapore vagamente fantascientifico. Ma altri nomi e unità di misura corrispondenti già si affacciano all’orizzonte, complice anche il vero e proprio big bang di dati digitali che sta per innescarsi con l'ormai imminente maturazione della cosiddetta Internet delle cose.
“Finora il limite è rappresentato dallo yotta (yottabite) – si legge nell’articolo – nomigliolo che non spiacerebbe a George Lucas che rappresenta il numero 1,000,000,000,000,000,000,000,000. A quanto corrisponde uno yotta di bit? All’oceano di big data che, come scrive Forbes, la National Security Agency statunitense ha accumulato nel nome della nostra sicurezza (pare): un oceano di dati personali e aziendali legati all’utilizzo di internet spesso definito un piccolo Grande Fratello dai difensori della privacy (per maggiori informazioni, ecco lastoria di copertina che Wired Usa ha dedicato alla Nsa lo scorso marzo). Secondo l’autore di questo video, per esempio, uno yottabite potrebbe contenere 9 miliardi di anni di materiale video di qualità Blu Ray. Ecco quanto “pesano” le nostre vite in un hard disk.
Ma tralasciamo per un istante la questione della privacy (che meriterebbe un capitolo, anzi un libro, a sé). A interessarci in questo momento è il concetto di yotta, il limite che nessun’altro aveva mai raggiunto. Non si tratta ovviamente di un confine invalicabile: l’informazione digitale è in perenne espansione come l’Universo e presto serviranno nuove unità di misura. Un universo inesplorato e, ovvio, finora senza nome. Proprio per questo motivo è già cominciata una piccola guerra per definire le nuove unità di misura per quantità ancora maggiori. Secondo il sito del Boston Globe, per esempio, un candidato papabile sarebbe il brontobyte. A coniare la parolina magica è stato il sito tecnologico GigaOm nel tentare di definire la quantità di dati che potremmo ritrovarci ad accumulare con la nascita del cosidetto “Internet of things”, ovvero la fase che verrà quando anche gli oggetti innanimati – dalle automobili ai forni di casa, dai termostati agli aerei di linea – saranno connessi a Internet, causando un cambio di paradigma nella nostra concezione di rete...”.