Happy Birthday Internet Archive
Il 26 ottobre l'Internet Archive, associazione californiana nata con l'ambiziosissimo obiettivo di conservare tutti i contenuti di Internet, compie 20 anni. A San Francisco, sede dell'archivio, si festeggia la ricorrenza con diverse iniziative e anche noi nel nostro piccolo vogliamo rendere un piccolo tributo a questo progetto di fondamentale e meravigliosa importanza. Per farlo, riproponiamo la sintesi di un lungo approfondimento sull'Internet Archive a firma della scrittrice statunitense Jill Lepore, pubblicato nel gennaio del 2015 sul New Yorker. Buona lettura e Happy Birthday Internet Archive!
Dove vive la memoria di Internet
Dal 2009 la sua sede è in un edificio simile a un tempio corinzio, un tempo adibito a chiesa, acquistato perché identico al logo istituzionale dell’organizzazione. Su una delle sue pareti campeggia il numero 42, criptico omaggio alla risposta sul senso della vita formulata nella “Guida galattica per autostoppisti” di Douglas Adams. E il suo fondatore, tempo fa, ha provato a stampare e infilare tutto il web in un container, decretando alla fine che fosse lungo 20 metri, largo 8 e profondo 2 e mezzo. Sono solo alcune delle stranezze che è possibile leggere nel tanto lungo quanto gustosissimo ritratto dell’Internet Archive firmato da Jill Lepore, professoressa di storia, saggista e giornalista, pubblicato di recente sul The New Yorker. Ritratto pieno di aneddoti, colore e calore, come è possibile intuire da questi brevi cenni, ma che non manca di rendere giustizia ad una strana istituzione nata nel 1996, con l’ambizione di “porre rimedio al fatto che il web non fosse stato progettato per essere conservato”, e legittimatasi nel tempo come il soggetto alle prese con la sfida tanto utopistica quanto appassionante di garantire “l’accesso universale a tutta la conoscenza”. L’Internet Archive ha fatto di questa sfida il proprio motto, e dalla lettura dell’articolo di Jill Lepore è possibile farsi un’idea dettagliata delle strade, non sempre ortodosse, con le quali sta provando a metterla in pratica.
Il lungo racconto si apre con un cenno all’abbattimento dell’aereo in volo da Amsterdam a Kuala Lumpur, lo scorso 17 luglio, in territorio ucraino. Ancora oggi non c’è verità ufficiale sulle responsabilità per l’accaduto, ma nell’articolo si fa riferimento ad un post su VKontakte, il social media più popolare in Russia, da parte di un leader dei separatisti ucraini: “abbiamo appena colpito un aereo”, il testo del messaggio, accompagnato da un video che mostrava i rottami di un velivolo. Quel post era stato rimosso nel giro di due ore, non prima però che la Wayback Machine, lo strumento automatico usato dall’Internet Archive per immortalare consistenti parti di web, potesse salvarlo sui server dell’istituzione, preservandolo dall’oblio. Basterebbe questo aneddoto a rendere evidente l’estrema utilità di una istituzione come l’Internet Archive. Ma Lepore va ben oltre, evidenziando quanto siano erronee le convinzioni di chi pensa che un contenuto, una volta pubblicato on line, sia destinato a durare per sempre, e sottolineando come e quanto tutto ciò possa essere problematico nel momento in cui tutto viene prodotto e condiviso in digitale. Nell’articolo si accenna ad esempio ai riferimenti contenuti nelle sentenze di corti e tribunali: un tempo scolpiti nella pietra, da quando hanno cominciato a rimandare a risorse web, sono diventati un vero e proprio cruccio per la giurisprudenza. Secondo uno studio pubblicato nel 2013, quasi il 50% degli indirizzi web citati come fonti giuridiche nelle pubblicazioni di questo genere era destinato a non funzionare più nell’arco di 6 anni. “Come pretendere di stare in piedi sulle sabbie mobili”, si legge nell’articolo, ed è proprio per provare a tirare fuori le persone da quelle sabbie mobili che è stato istituito l’Internet Archive.
Nel racconto grande spazio è dedicato alla leggendaria figura di Brewster Kahle, fondatore nonché attuale direttore dell’associazione californiana. Dopo avere studiato al MIT di Boston, Kahle ha dedicato sempre più sforzi e attenzioni alla necessità di contrapporre alla filosofia dell’eterno presente che domina il web, un approccio che permettesse di recuperare le tracce di un passato altrimenti destinato a svanire molto velocemente. Questa attenzione si è tradotta nella progettazione della Wayback Machine, che potremmo definire il cuore pulsante dell’Internet Archive, e successivamente in una lunga serie di progetti e iniziative finalizzati ad estendere il raggio d’azione della struttura: non più e non solo pagine e contenuti web, ma anche libri, musica, film, notiziari, software e tantissime altre tipologie di contenuti che, secondo Kahle e soci, è necessario custodire nei propri server per scongiurarne la scomparsa.
Una vera e propria bulimia declinata in digitale, messa in pratica anche grazie ad un approccio decisamente libertario, in pieno spirito californiano, a problematiche molto spinose come quella che riguarda i diritti d’autore. Lepore insiste molto su questo aspetto, evidenziando le profonde differenze tra l’Internet Archive, che immagazzina contenuti digitali in maniera estremamente disinvolta, fermandosi solo di fronte ai blocchi automatici contenuti nei file “robots.txt”, e le tante istituzioni culturali del mondo che pur, promuovendo propri progetti di web archiving, si limitano a conservare i soli contenuti per i quali hanno ricevuto un esplicito assenso da parte dei detentori.
L’Internet Archive è una preziosissima istituzione che opera in nome e per conto dell’interesse generale – si legge a riguardo – ma non è una biblioteca nazionale, e sia per questo motivo, sia per il fatto che le leggi sul copyright non sono state al passo con l’evoluzione tecnologica, Kahle ha collezionato tantissimi siti web, rendendoli liberamente accessibili, senza la piena ed esplicita copertura legale per poterlo fare. “Tutto ciò è molto audace – afferma un ex web archivista della Biblioteca Nazionale Francese – in Europa nessuna istituzione, o forse davvero pochissime, potrebbero pensare di assumersi simili rischi”.
Pur a fronte di queste differenze, Kahle è comunque riuscito a collaborare con biblioteche e istituzioni di tutto il mondo, contribuendo ad esempio alla nascita dell’International Internet Preservation Consortium, al quale aderiscono al momento 49 membri. Un vero e proprio successo, specie se si considera la proverbiale diffidenza europea verso tutto ciò che ha a che fare con Internet e spira dalla West Coast americana. Segno che Kahle, pur portatore di una diversità radicale, si è guadagnato il proprio rispetto sul campo, affermandosi come un “utopista digitale – scrive Lepore – che vuole a tutti i costi evitare una distopia digitale”:
Vede il web come una sterminata biblioteca e pensa che questa non possa appartenere ad una multinazionale, o anche semplicemente che sia necessario passare dal portale di una multinazionale per poter accedere ai suoi contenuti. “Stiamo costruendo una biblioteca che rappresenta noi stessi – afferma – e questa biblioteca deve essere nostra”.
Certo, questa biblioteca è ancora oggi estremamente caotica e molto meno performante rispetto a un motore di ricerca come Google, ammette Lepore accennando alle difficoltà tecniche che tuttora si incontrano nella navigazione dell’Internet Archive e del suo sterminato patrimonio. Ma è anche vero che Kahle e soci sono costantemente alla ricerca di soluzioni che permettano di mettere un po’ di ordine in questo caos. Tra queste ad esempio, il servizio Perma.cc, grazie al quale l’obsolescenza delle fonti web nei paper scientifici e a carattere giuridico potrebbe essere fortemente limitata.
Arrivati al fondo del piacevolissimo articolo di Lepore, la sensazione però è che sia proprio quel caos irrisolto, diretta emanazione della personalità di Kahle e del background culturale dal quale proviene, il vero valore aggiunto di un progetto tanto utopistico quanto concreto come l’Internet Archive. Ancor più della pur efficiente Waybakc Machine, la vocazione a tratti anarchica che ne ispira l’agire è in fondo lo strumento più potente per affermare il principio che tutto ciò che viene prodotto e condiviso sui media digitali, vale a dire l’ossatura del mondo contemporaneo, debba essere conservato e reso accessibile a chiunque in futuro. Perché la memoria, anche quella digitale, è e resta patrimonio di tutti. E come afferma in chiusura dell’articolo Brewster Kahle al cospetto dei propri server freneticamente al lavoro, la memoria di Internet è di casa a 300 Funston Avenue San Francisco, tra le mura di una ex chiesa a forma di tempio greco, che dal 2009 ospita l’Internet Archive.