Dalla linearità alla cacofonia: la storia al tempo di Internet
I contenuti prodotti e condivisi on line sono ad altissimo rischio di obsolescenza. Il problema è ormai ampiamente riconosciuto, non più e non solo tra gli esperti di conservazione. Ma cosa accadrebbe se si riuscisse a preservare gran parte di questi materiali e tramandarla alla generazioni future? Secondo la giornalista Jenna Wortham la conseguenza principale potrebbe essere un vero e proprio cambio di paradigma nel modo di scrivere la storia. Una riflessione a riguardo è stata pubblicata a fine giugno sul New York Times Magazine. Se finora - sintesi estrema e forse un po’ brutale da parte nostra – la storia l’hanno scritta i vincitori, d’ora in avanti si potrebbe assistere ad un racconto più corale, o forse sarebbe il caso di dire cacofonico, di come si svolgono gli eventi.
L’articolo si apre con un istruttivo “parallelo analogico”. La giornalista ricorda la visita a una mostra su Keith Haring organizzata alcuni anni fa dal Brooklyn Museum. Per la Wortham una vera e propria epifania: se infatti fino a quel momento Haring aveva significato per lei “piccoli omini colorati intenti ad abbracciarsi e a danzare su centinaia di t-shirt”, dalla visione dei suoi graffiti, e ancor più degli schizzi disegnati sui taccuini negli anni precedenti all’esplosione della fama planetaria, era emersa l’immagine di un artista molto più complesso, sfaccettato e combattuto. O con una sola parola: unpolitically correct. Di questa ambivalenza – scrive la Wortham – probabilmente non resteranno tracce in futuro, specie per il grande pubblico. Così come è molto probabile che saranno tanti i vuoti lasciati da una cultura digitale ancora ai primordi e di fatto, nonostante tentativi encomiabili come quello dell’Internet Archive, ancora incapace di preservarsi nella propria sterminata interezza e complessità.
La giornalista fa riferimento a esperienze come Tumblr, Vine e Twitter, luoghi dove si sono verificati alcuni dei fenomeni più effervescenti e originali degli ultimi anni, in ambito artistico e culturale, ma anche politico e sociale. E non è un caso che citi proprio queste tre piattaforme, ognuna delle quali alle prese con problemi che potrebbero pregiudicarne la sopravvivenza nel lungo periodo. “I social – scrive – sono essenziali per comprendere le fonti di ansia e la temperatura emotiva del nostro tempo, così come lo furono all’epoca i taccuini di Haring. Ma conservare i materiali pubblicati su Internet è molto più complicato che mettere un po’ di disegni in una teca”.
Eppure secondo la Wortham sarebbe assolutamente il caso di dedicare la massima attenzione possibile a questo compito. Non solo perché di fatto non si potrà raccontare la storia del nostro presente digitale se non si riuscirà a tramandarlo alle prossime generazioni. Ma anche perché finalmente si potrebbe rivoluzionare il modo di scrivere la storia. “Questa pletora di new media e materiali – si legge a riguardo – potrebbe funzionare come un nuovo tipo di archivio: un registro multidimensionale di eventi al quale accademici, studenti, ricercatori e più in generale il pubblico potranno fare riferimento per generare una riflessione più prismatica della storia”.
La Wortham passa dalla teoria alla pratica facendo riferimento a un’altra esperienza personale. Questa volta una conferenza dedicata al peso delle discriminazioni razziali e di genere su Wikipedia, svoltasi nello scorso marzo. Eventi come questo, scrive, sono molto utili per capire che anche oggi chi ha più potere finisce per avere maggiore influenza su cosa verrà scritto e tramandato ai posteri, anche in ambienti considerati come il non plus ultra dell’orizzontalità e l’apertura quale Wikpedia. Segue però un aneddoto, su una questione all’apparenza molto frivola, in realtà esemplificativo di quanto potrebbe cambiare il lavoro degli storici se si riuscirà effettivamente a preservare tutta la complessità dei processi che sottendono alle nuove forme di produzione e condivisione on line.
Dopo la discussione pubblica – scrive la Wortham – ho parlato con Kyra Gaunt, professoressa e ricercatrice esperta di social media. Nel suo tempo libero cura la voce twerking di Wikipedia, attualmente al centro di una battaglia infinita su come occorra descrivere questo tipo di danza. È più importante sottolineare le sue radici nella black culture o quanto sia stata importante Miley Cyrus per renderla un fenomeno mainstream? Anche i nuovi contenuti che domani avranno una valenza storica possono subire degli slittamenti di senso, dettati da vecchi pregiudizi, che ne cambieranno radicalmente il significato. Almeno però, Wikpedia tiene traccia dello storico di tutte le versioni editate nel tempo di una voce. Fin quando i suoi server continueranno a funzionare, gli storici disporranno di un catalogo estremamente ricco che gli permetterà di capire chi intendeva cosa, e per quali motivi.
Internet – prosegue la Wortham – ci sta spingendo nel bene e nel male a realizzare che le versioni ufficiali degli eventi non dovrebbero mai essere accettate a scatola chiusa. E gli storici sono sempre più propensi ad aggiornare le proprie ricerche, accedendo a fonti primarie per lo più sottovalutate in passato, spesso perché riguardanti figure marginali. Anche oggi si assiste a omissioni del genere, ma rispetto al passato possiamo individuarle molto più velocemente. Sviste che hanno richiesto decenni per essere corrette, ora vengono risolte nel giro di settimane, a volte ore. Sui nostri schermi e device disponiamo di una vista caleidoscopica degli eventi durante il loro stesso svolgimento, spesso in real time. La storia non è neutrale né sinonimo di verità, ma Internet ci offre degli enormi vantaggi rispetto ai tempi passati, e solo adesso cominciamo a intravedere le profonde implicazioni di tutto questo.
Lo scorso anno due scienziati hanno presentano la teoria delle “storie intrecciate” nel campo della meccanica quantistica. Secondo la loro tesi, l’esistenza di una particella nello spazio si frattura lungo molteplici assi temporali, e tutti vanno presi in considerazione per comprenderne a pieno il ciclo di vita (...) “la nostra migliore descrizione del passato – ha dichiarato uno dei due scienziati – non è una cronologia fissa, ma cronologie multiple, interconnesse tra loro”. Da tempo sappiamo che la storia dell’umanità funziona allo stesso modo: un numero inimmaginabile di piccole storie, compresse in una di dimensioni maggiori. Forse abbiamo finalmente la possibilità di registrarle e catturarle tutte, e la storia può divenire qualcosa di profondamente diverso: non più una manciata di voci, ma una cacofonia.
Leggi l'articolo di Jenna Wortham sul New York Times Magazine