Dalle nuvole alle nebbie, comincia l’era del fog computing?
Simone Vettore spiega che non esiste ancora nessuna definizione ufficiale e condivisa a livello internazionale del termine fog computing, ma che lo stesso viene sempre più spesso utilizzato nelle cerchie di chi si occupa di sviluppo delle tecnologie dell’informazione. A introdurlo un paio di anni fa è stato un gruppo di ricerca della CISCO, per fare riferimento alle soluzioni tecnologiche finalizzate a immagazzinare e processare i dati frutto della cosiddetta “Internet delle cose”. Per descriverlo più nel dettaglio invece, viene naturale contrapporlo al cloud computing, termine dal quale evidentemente discende:
“Se la nuvola (cloud) si staglia in alto nel cielo – scrive Vettore – la nebbia (fog) si colloca ad un livello intermedio tra questa e la Terra, anzi… assai aderente al suolo! Detto fuor di metafora il fog computing si prefigge di creare un’infrastruttura (con le canoniche risorse di calcolo, storagee rete) capace di rispondere in misura migliore a quelle che saranno le probabili esigenze del prossimo futuro, futuro che sarà caratterizzato dall’exploit del cosiddetto Internet delle cose (…), ovvero della massiccia ed attiva presenza in Rete non solo di agenti umani ma anche di oggetti (e non solo quella serie di dispositivi indossabili tipici del wearable computing ma anche e soprattutto automobili, impianti semaforici, elettrodomestici, sensori vari sparsi per la città e lungo le vie di comunicazione con la funzione precisa di catturare dati relativi all’ambiente, alle condizioni del traffico, etc.).
Secondo gli esperti di Cisco, in altri termini, per far sì che l’IoT funzioni adeguatamente bisogna disporre di una infrastruttura ad hoc (…) che sia complementare rispetto a quella fornita dalla cloud, ritenuta troppo centralizzata e “distante” (e di conseguenza con tempi di latenza troppo elevati rispetto a quelli richiesti allorquando in ballo ci sono i dati relativi, ad esempio, al traffico stradale ed il semaforo deve calcolare, in base al numero di autovetture, bici e pedoni in procinto di attraversamento, come regolarlo nel modo più efficiente); le caratteristiche del fog computing sono dunque la bassa latenza, l’elevata distribuzione geografica, la connettività mobile (…), la forte presenza di applicazioni in streaming o, ancora più probabile, in real time...”.
Vettore prosegue l’articolo ipotizzando tra le altre cose che sulla “fog” prevarranno pratiche di conservazione di breve periodo, mentre quelle di lungo termine dovrebbero continuare ad essere appannaggio delle soluzioni cloud. Sottolinea anche che le nuove soluzioni dovranno garantire molto probabilmente prestazioni più elevate rispetto a quelle in remoto, e di conseguenza tenderanno a costare di più, e non dà assolutamente per scontato che la gestione dei dati “nella nebbia” sarà meno problematica dal punto di vista della sicurezza informatica. Si pensi ad esempio al numero crescente di applicazioni che saranno sviluppate per monitorare in tempo reale le condizioni di salute dei cittadini o i loro spostamenti nel traffico, spiega in proposito, e sarà facile capire che, cloud o fog, si avrà sempre a che fare con dati molto sensibili. “La definizione Internet delle cose è per certi versi ingannevole – precisa ulteriormente - infatti non è solo smart city o smart grid o altri termini tanto accattivanti quanto vaghi. Al contrario esso è, soprattutto, composto di dati che riguardano le persone…”.
Il carattere introduttivo dell’articolo viene rafforzato ulteriormente in chiusura, con un richiamo a uno Storify realizzato dallo stesso Vettore. Leggendolo, tra le altre cose, è possibile anche guardare un video in cui uno dei ricercatori di CISCO illustra in maniera intuitiva il concetto di fog computing e le sue principali implicazioni.