Email-gate: e se uno scandalo valesse più di 1.000 campagne informative?
Non è ancora chiaro come si concluderà la vicenda, ma magari in futuro si potrà parlare di quella volta che il mancato rispetto di una tra le più elementari regole in materia di conservazione digitale compromise una candidatura alla Casa Bianca. La candidatura in questione è quella di Hillary Clinton, moglie dell’ex Presidente Bill e dal 2008 al 2012 Segretario di Stato degli Stati Uniti d’America. È proprio per quanto accaduto nello svolgimento di questo delicatissimo incarico che, a partire dai primi giorni di marzo, la Clinton è finita nell’occhio del ciclone. Tutto è cominciato quando il NY Times ha rivelato che la ex first lady ha usato un indirizzo e-mail personale per le proprie corrispondenze elettroniche ufficiali con capi di Stato, rappresentanti diplomatici, uomini di affari e via discorrendo.
Stando alle ricostruzioni del Times, la scoperta sarebbe avvenuta per puro caso: indagando sull’attacco all’ambasciata americana di Bengasi del 2012, una Commissione di inchiesta federale si sarebbe imbattuta in circa 300 e-mail inviate dall’account personale della Clinton ai funzionari dell’ambasciata. C’è chi mette in dubbio si tratti di uno scoop, spiegando che già nel 2013 erano circolate voci sull’uso di un indirizzo privato della Clinton per corrispondenze ufficiali. La storia tornerebbe insomma a galla in vista delle prossime candidature alle presidenziali del 2016. Lo stesso articolo precisa anche che l’ex Segretario di Stato non avrebbe violato la legge: all’epoca dei fatti non era ancora stata interamente introdotta la nuova norma che obbliga i funzionari pubblici a usare gli account ufficiali, di modo che le e-mail possano essere correttamente archiviate e chiunque possa consultarle in futuro, fatti salvi i limiti imposti dalla privacy e dalle questioni di sicurezza nazionale.
Resta però che il comportamento della Clinton è stato interpretato come una gravissima anomalia e come tale sta suscitando un vespaio di polemiche. L’avvocato Jason Baron, dal 2000 al 2013 dipendente della National Archives and Records Administration, ha dichiarato al Times che Hillary Clinton non è stata certo il primo funzionario pubblico, né il primo Segretario di Stato a usare la propria e-mail privata per scambiare messaggi istituzionali. Anche a Colin Powell, che ha ricoperto il suo stesso incarico dal 2001 al 2005, fu contestato qualcosa di analogo, ma quello che colpisce, ha spiegato Baron, è che la Clinton abbia usato in pratica solo ed esclusivamente il proprio account privato. “Fatta eccezione per un’apocalisse nucleare – sono state le sue parole – è davvero difficile immaginare ed accettare uno scenario in cui un rappresentante istituzionale di così alto livello utilizzi la propria e-mail personale per svolgere tutte le attività governative. Stando ai miei ricordi, nessun dirigente ha mai fatto in passato qualcosa di simile”.
Prevedibile, ma secondo molti un po’ tardiva, è arrivata anche la reazione di Hillary Clinton. Una settimana dopo lo scoop o presunto tale, l’ex Segretario di Stato ha indetto una conferenza stampa per controbattere alle critiche, sollevando però ulteriori perplessità a causa delle proprie risposte. Non è stata molto convincente quando ha dichiarato che ha preferito la mail privata a quella ufficiale per questioni di comodità e praticità, né ha placato gli animi spiegando come abbia intenzione di riparare a quello che, come ammesso da lei stessa, potrebbe essere stato un errore. Il suo staff è stato infatti incaricato di esaminare una per una le circa 55.000 e-mail “incriminate”, e al termine della valutazione ha deciso di consegnarne circa 30.000 al Dipartimento di Stato, di modo possa archiviarle così come previsto dalle norme. Le restanti migliaia di e-mail sono state però ritenute attinenti a questioni puramente personali, quali le proprie sedute di yoga o il matrimonio della figlia Chelsea, e in quanto tali la Clinton avrebbe dato ordine di cancellarle. Qualcuno ha provato a chiederle se potrebbe essere disposta a far leggere le e-mail a soggetti estranei alla vicenda, di modo che possano valutarne l’effettiva rilevanza e se e quanto sia effettivamente giusto cancellarle, ma l’ex Segretario di Stato ha categoricamente escluso questa ipotesi.
Come riassunto dall’Atlantic, il messaggio è stato insomma “fidatevi di me”. Un po’ poco viste le attese sollevate dal caso, anche perché c’è chi fa notare come la Clinton abbia incredibilmente sottovalutato, chissà quanto consapevolmente e quanto no, i rischi che potrebbero derivare dal proprio comportamento. Su Vox, il giornalista Ezra Klein è stato quanto mai esplicito a riguardo:
La Clinton ha dichiarato di avere usato un sistema per la gestione delle e-mail installato negli uffici dell’ex Presidente Clinton, dotato di numerose misure di sicurezza, ampiamente testato in passato, e costantemente sorvegliato dai servizi segreti. Di conseguenza, ha aggiunto, si può escludere nella maniera più categorica che qualcuno possa averlo violato.
Affermare che i servizi segreti hanno sorvegliato i suoi server la dice lunga sulla visione analogica che la Clinton ha rispetto alle minacce digitali, “come se il rischio principale – ironizza il Washintong Post – non fosse un attacco informatico quanto piuttosto che dei ladri si intrufolino negli uffici per rubare dei floppy disk”.
Ma ancora più emblematica è la sicumera con cui la Clinton ha escluso ci siano state violazioni, perché, parole sue, “il sistema ha già dimostrato in passato di essere efficace e sicuro”.Quello che la Clinton sembra ignorare è che se ci fosse stato un attacco informatico andato a buon fine, lei non avrebbe alcun elemento per venirne a conoscenza. Il furto dei dati non è paragonabile a quello degli oggetti: nessuna finestra rotta, niente di trafugato e portato via.
È qui che il modo di agire della Clinton si scosta profondamente da quello dei suoi pari. I sistemi di posta elettronica del Governo sono mostruosamente sicuri, il che non significa che non possano essere violati – essendo la sicurezza informatica una rincorsa perenne tra hacker che trovano nuovi varchi in cui colpire ed esperti di sicurezza pronti a erigere nuove difese – ma vuol dire che ci sono esperti di informatica di altissimo livello impegnati notte e giorno per capire come proteggere le informazioni sensibili. Usando un sistema fatto in casa, la Clinton è stata molto ingenua, prestando il fianco a rischi dei quali sembra non essere del pienamente consapevole. E questo è uno scandalo.
Che questo scandalo le costi o meno la corsa alla Casa Bianca, lo sapremo nelle prossime settimane. Intanto ci sono già potenziali competitor che fanno notare come abbiano agito in maniera specularmente opposta pur ricoprendo cariche meno prestigiose, e dall’amministrazione Obama, non senza imbarazzi, fanno sapere che tutte le e-mail consegnate dalla Clinton saranno analizzate in tempi brevi e pubblicate on line su un sito web. Ciò che è certo fin da ora è che una vicenda del genere ha catturato una attenzione spasmodica su tematiche altrimenti di nicchia come la conservazione digitale e la sicurezza informatica. Nessuna campagna di sensibilizzazione in materia, per quanto ben congegnata e sostenuta, avrebbe potuto garantire risultati del genere. E di questo, paradossalmente, dobbiamo essere molto grati a Hillary Diane Rodham Clinton.