In estinzione a chi? La stampa è il nuovo medium
Se ogni tanto qualcuno torna a scriverne (avevamo già segnalato articoli a riguardo qui e qui), probabilmente qualcosa di vero deve esserci. Se poi lo fa una testata dalla vocazione “accademica”, forse è davvero il caso di pensare che la stampa cartacea sia tutt’altro che in via di estinzione. “Print is the new media” (“La stampa su carta è il nuovo medium”), è il titolo di una articolo a firma di Chava Gourarie, pubblicato di recente sul sito Columbia Journalism Review, col quale si riflette ancora una volta sul perché, dai graffiti rupestri in avanti, non sempre alla nascita di un nuovo strumento di comunicazione corrisponda la scomparsa del predecessore. Nell’articolo la giornalista cita alcune testate “native digitali” di successo appena calatesi nell’avventura cartacea (Tablet, Politico, e The Pitchfork Review), così come alcuni magazine lanciati negli scorsi anni e in pieno boom di audience (Nautilus, Kinfolk, California Sunday Magazine). Eppure per anni gli “avanguardisti dei media” ci avevano martellato con il motto “digital first”, scrive, probabilmente sbilanciandosi troppo sulle magnifiche sorti e progressive di Internet.
“Non penso che Internet possa metabolizzare alcuni tipi di storie”, afferma Alana Newhouse, editor in chief di Tablet. Non solo a suo avviso il formato finito e per certi versi rifinito del suo magazine valorizza al meglio determinati tipi di contenuti. Ma con un milione e mezzo di accessi mensili, il sito della testata è la prima e fondamentale fonte di arruolamento per i circa 15.000 lettori che decidono di acquistare il prodotto stampato. “Certo, on line puoi raggiungere un’audience molto più ampia – rincara la dose il collega Mark Oppenheimer – ma a quale prezzo? Molto meglio un articolo su carta che si proponga di modificare il punto di vista di 10.000 persone, che una nota indirizzata a 100.000 lettori distratti on line”.
D’altronde, prosegue la Gourarie, se per la carta i profeti di sventura sono stati davvero tanti, da tempi non sospetti c’è stato anche qualche coraggioso bastian contrario. Samir Husni, professore presso la University of Mississippi, è uno di loro, e non per caso è stato ribattezzato Mr. Magazine. Stando ai suoi calcoli, nel solo 2015 in America sono nati ben 204 magazine. “La stampa è la sposa fedele – afferma Husni – il 95% dei guadagni si fa delle sue parti”. “Lungi dall’essere il triste mietitore – aggiunge Ruth Jamieson, autrice del volume “Print is Dead. Long Live Print” – il digitale è una piattaforma formidabile sia per trovare il proprio pubblico, sia per gestire diverse attività editoriali che sarebbe molto più complicato condurre off line”.
Detto di questa complementarietà tra i due mezzi, secondo la editor in chief di Tablet il “vantaggio della carta sul web è che sulla prima non è affatto necessario che tu piaccia a chiunque, anzi, è meglio non accada”. “Le persone vogliono sentirsi partecipi di una tribù – spiega – e i magazine, proponendo contenuti cuciti su misura per un pubblico di lettori ardenti, rafforzano il senso di appartenenza”. Discorso condiviso al 100% da Samir Husni: “ogni volta che ricevi il tuo magazine è come se attivassi una membership card. È vero, occorre pagare per farlo, ma è proprio questo che attribuisce valore al tutto”.
L’autrice dell’articolo però ammonisce: guai a pensare che tutto ciò che è cartaceo sia destinato a risorgere. Segnali di rinascita e smentita di una tendenza che pareva irreversibile ce ne sono, ma resta difficile immaginare un futuro roseo per chi continuerà a insistere solo ed esclusivamente sulle ricette generaliste.
Nell’attesa di capire come andrà a finire, Chava Gourarie sottolinea infine un altro paradosso. Per anni abbiamo pensato che il web e il digitale fossero parole e territori presidiati dalle nuove generazioni. La carta non poteva che essere materiale per vecchi nostalgici ostaggi del proprio feticismo per il profumo della carta. Invece, spiega l’editor del Wall Street Journal Mike Miller, non solo non occorre essere luddisti per lasciarsi affascinare da un magazine fatto a regola d’arte, ma la cosa sorprendente è che spesso sono proprio i più giovani a preferire questo tipo di prodotti. “In fin dei conti – conclude la giornalista - sembra che stampa e digitale possano coesistere. Il vecchio non rimpiazzerà il nuovo. Potrà martellarlo, deformarlo e riconfigurarlo, ma il vecchio non sparirà. E, ironia del destino, è proprio la vecchia guardia a reputare folle questo ritorno alla stampa. Pensano sia retrò – afferma Alana Newhouse – io al contrario penso sia molto innovativo”.