L’Internet Archive, molto più che web archiving

Mai fidarsi delle multinazionali che si presentano come le nuove biblioteche digitali. Secondo il blogger Andy Baio, solo l’organizzazione californiana può svolgere questo ruolo, specie per la fondamentale e tuttora oscura opera di conservazione del software che promuove da anni

Nei primi anni 2000, tante multinazionali digitali, e in particolare Google, hanno dedicato gran parte delle proprie attenzioni alla conservazione dei saperi e delle informazioni. Progetti come Google Books o il Google News Archive erano alcune declinazioni di quella che all’epoca veniva presentata come la principale vocazione della società: “organizzare tutta l’informazione prodotta nel mondo e renderla universalmente accessibile”. A qualche anno di distanza da allora, questa vocazione sembra essere svanita, o quantomeno passata in secondo piano. Il progetto Google News Archives è stato ufficialmente abbandonato nel 2011, mentre Google Books, pur sopravvivendo, ha perso lo slancio iniziale, sfiancato dalle ripetute battaglie giuridiche sulla proprietà intellettuale dei libri da digitalizzare.

È come se l’interesse per la conservazione dei contenuti esistenti fosse improvvisamente passato di moda, mentre tutte le attenzioni si sono spostate su un presente dominato dai social media, e un futuro più o meno prossimo costellato di robotica, intelligenza artificiale e altre frontiere della ricerca tecnologica. Sono questi i nuovi interessi strategici dichiarati di Google, e secondo il blogger americano Andy Baio – autore di una riflessione a riguardo sulla piattaforma Medium – questo repentino cambio di rotta sarebbe tutt’altro che casuale. Semplicemente – è la sua tesi – a Mountain View si sono resi conto che proporsi come la biblioteca universale del presente rischia di essere una missione tanto nobile quanto poco profittevole. E preso atto di ciò, hanno virato verso interessi più redditizi. Ergo: “mai fidarsi di una multinazionale che aspira a svolgere il lavoro di una biblioteca”.

L’approfondimento di Baio si intitola proprio così, e la buona notizia per chi ha a cuore le sorti della conservazione nell’era di Internet e del digitale è che non si limita a questa amara considerazione. “Se Google ha lasciato di colpo la palla e abbandonato il campo da gioco del passato – si legge nell’articolo – fortunatamente c’era qualcuno pronto a cogliere quella palla al balzo”. Quel qualcuno lo conosciamo bene, avendone scritto tanto e ripetutamente, anche di recente, con la segnalazione di una bellissima storia pubblicata sul The New Yorker. Si sta parlando dell’Internet Archive, organizzazione no profit attiva dal 1996 e da allora costantemente impegnata nella conservazione di uno sterminato patrimonio culturale che va ben oltre le sole pagine web. L’intento di Baio è proprio questo: smentire il luogo comune che vede l’Internet Archive impegnato, peraltro egregiamente, sul solo terreno del web archiving (oltre 435 i milioni di pagine web già indicizzate finora), per rendere evidente un prezioso lavoro a 360 gradi che contempla anche, tra le altre cose, la conservazione digitale di libri (6 milioni i titoli già accessibili sui suoi server), video (1,9 milioni di record) audio (2,3 milioni), notiziari tv (668.000) e software.

Ed è sui software che si concentra in particolare l’attenzione del blogger, perché a suo avviso occorre insistere proprio su questo tasto per far capire al mondo che l’Internet Archive è la vera biblioteca universale dell’era digitale. Ruolo che per giunta, non essendo mosso da finalità di lucro, continuerà a svolgere anche in futuro. Baio ripercorre le varie tappe che hanno portato dapprima alla conservazione di un numero sempre maggiore di software prodotti nel passato, e poi ai progressi nel campo dell’emulazione che permettono ora di accedere a gran parte di essi direttamente on line, con le soluzioni tecnologiche (hardware e software) del presente. È soprattutto riportando in vita e sul web migliaia di videogame del passato che l’Internet Archive è riuscito a suscitare attenzione a riguardo. Si tratta di un’attenzione ormai planetaria che va ben oltre le cerchie dei soli addetti ai lavori o dei fan dei videogame. Ed è proprio capitalizzandola – scrive Baio – che si potrà rendere giustizia alla fondamentale opera di presidio sulle tematiche della conservazione digitale svolta dall’Internet Archive.

Quando sono stati lanciati i videogiochi on line – si legge in chiusura – ho letto dozzine di commenti confusi da parte di persone che si chiedevano cosa avesse a che fare tutto ciò con la storia di Internet. Penso che questo derivi dalla percezione sbagliata che si ha dell’Internet Archive come istituzione impegnata a salvare solo ed esclusivamente pagine web. Ma la loro missione, e il loro motto, sono molto più vasti: accesso universale a tutta la conoscenza.

L’Internet Archive non è Google. L’Internet Archive è una istituzione tanto caotica quanto attraente. Non è particolarmente ben organizzata, e gli strumenti per accedere alle sue risorse sono ancora molto rudimentali, per quanto in via di miglioramento.

Ma questo progetto di emulazione software, a mio avviso, è qualcosa che Google avrebbe dovuto provare a realizzare nel 2003. Qualcosa di grande, ambizioso e tecnicamente molto impegnativo, per un interesse generale ancora più grande.

Questo sforzo rende perfettamente l’idea del perché l’Internet Archive sia una istituzione così importante, e avrà ripercussioni sul nostro futuro che non riusciremo ad apprezzare pienamente ancora per molti anni (…) Non si tratta solo di videogiochi, quelli sono semplicemente l’esca per tutto il resto. Stiamo parlando di conservare la nostra storia digitale, che, lo sappiamo ormai bene, può scomparire molto facilmente, come accaduto a 15 anni di GeoCities.

Non possiamo pensare che siano le multinazionali a occuparsi del passato, possiamo però supportare le organizzazioni indipendenti e no profit che ambiscono a farlo.

Leggi l’articolo di Andy Baio su Medium

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