Le stelle sono tante. Ovvero, la conservazione digitale dei dati astronomici

Le nuove sfide in materia vengono illustrate sul blog The Signal da Brian Schmidt, astronomo in forza alla Australian National University e premio Nobel per la fisica nel 2011

Che il cielo sia pieno zeppo di stelle è cosa nota e risaputa, ma forse Brian Schmidt è davvero la persona più adatta per fare i conti, si fa per dire, con la dimensione potenzialmente infinita di questo elemento. Come si apprende infatti dall’introduzione dell’intervista pubblicata sul blog The Signal, lo scienziato è uno dei tre vincitori dell’edizione 2011 del Nobel per la fisica, e guarda caso il riconoscimento gli è giunto proprio per avere fornito nuove evidenze al fatto che non solo l’universo è in costante espansione, ma questo processo è a sua volta in via di progressiva accelerazione. Fatte queste premesse, è abbastanza scontato che una delle parole chiave dell’intera intervista sia big data: gli astronomi sono impegnati in lavoro di raccolta dati sempre più imponente, vuoi per le dimensioni del fenomeno analizzato, vuoi perché la potenza di calcolo delle tecnologie cresce a sua volta esponenzialmente.

È quindi facilmente intuibile che una delle questioni chiave del loro lavoro diventa la conservazione nel tempo di quanto catturato in ore e ore di contemplazione, chiamiamola così, del cielo stellato. Per dare un’idea anche minima delle dimensioni di cui si sta parlando, nel testo si fa riferimento sin da subito a nuovi sistemi telescopici attualmente funzionanti in Australia, che permettono di generare due treabyte di dati al secondo. Una cifra monstre, che rende conto di quanto – parole di Brian – i problemi dell’astronomia contemporanea siano spesso e volentieri riconducibili a problemi informatici. Da soli, è il suo corollario, gli scienziati che si occupano della disciplina non possono più farcela, e per questo diventa fondamentale la collaborazione con chi si occupa di nuove tecnologie e, tra gli altri, i professionisti della conservazione digitale. Con questi ultimi poi, il rapporto viene a essere ancora più naturale, considerando che entrambe le categorie ragionano prevalentemente secondo prospettive di tipo storico.

“La comparazione dei dati nel tempo – spiega lo scienziato – riveste una importanza fondamentale nel nostro lavoro. Gli astronomi sono spesso alla ricerca di piccoli cambiamenti che accadono nel corso di secoli. Per fare un esempio, se scopriamo un asteroide che potrebbe sfiorare la Terra, ci tocca tornare agli archivi, alla ricerca di dati, per capire se siamo effettivamente in presenza di una minaccia. Ed è chiaro che più dati hai raccolto nel tempo, migliore sarà il lavoro predittivo sull’orbita. Anche altre discipline traggono vantaggio dalla possibilità di accedere a dati raccolti e catalogati nel tempo, tuttavia la nostra è quella che può contare sul bagaglio di conoscenze di questo genere più esteso e longevo”.

Nell’intervista si fa cenno anche al ruolo che librerie, musei e archivi dovrebbero svolgere per quanto riguarda la custodia e la divulgazione dei dati astronomici, e a tale proposito Brian sottolinea due aspetti. Il primo è che per quanto sia importante la raccolta e la custodia di materiali analogici, la grandissima maggioranza dei dati astronomici, ma anche le pubblicazioni di riferimento, sono ormai gestite e conservate su supporto informatico, tanto che lo scienziato definisce il proprio campo una vera e propria “disciplina digitale”. L’altra considerazione riguarda la necessità di puntare su alcuni aspetti delle scienze archivistiche e bibliotecarie, oltre che su precise conoscenze informatiche, per semplificare la fruizione alle informazioni astronomiche. Proprio in considerazione della loro vertiginosa crescita, spiega l’intervistato, occorre investire con forza su iniziative di formazione che permettano ad alcuni astronomi di diventare anche esperti di gestione documentale e facilitatori dell’accesso ai dati di propria competenza.

Tra gli altri argomenti toccati si fa riferimento ad alcune tecniche di data mining utilizzate per “scovare una manciata di aghi in un gigantesco pagliaio” – nello specifico alcune stelle della Via Lattea accomunate da precise caratteristiche cromatiche – e agli insegnamenti nella produzione degli standard che gli astronomi possono lasciare ad altre categorie professionali.

“Per chi si occupa di gestire le informazioni – afferma Brian – c’è il rischio costante che ognuno sviluppi un proprio standard di riferimento. Si tratta di uno degli scenari peggiori (…) tutti auspicano l’esistenza di standard universali e flessibili, e per quanto si tratti di un campo molto difficile, l’astronomia è riuscita da tempo a produrre ottimi risultati in materia”.

Per quanto riguarda il futuro, lo scienziato prevede invece un’ulteriore, mostruoso incremento della mole di dati con la quale si dovrà fare i conti. Ciò vale in particolare per le informazioni che si potranno ricavare da migliaia di lunghezze d’onda catturate dalle ultime generazioni di radiotelescopi.

“Stiamo parlando di strumenti in grado di catturare fino a un petabyte di dati ogni notte – si legge nell’intervista – una sfida lanciata all’intera disciplina astronomica, che richiederà anche e soprattutto la capacità di processare queste informazioni in real time. Occorrerà scovare il segnale sonoro che può interessarci e liberarlo immediatamente dal rumore, perché se ci portiamo dietro fin da subito anche il dato grezzo, avremo ben presto a che fare con quantità di dati ingestibili”.

L’ultimo cenno è infine dedicato ai progetti di “scienza popolare”, quale ad esempio l’iniziativa “Galaxy Zoo”, con la quale centinaia di cittadini in tutto il mondo sono invitati a dare nell’arduo compito di classificazione di milioni di galassie. Invitato a riflettere sul contributo che esperienze del genere possono fornire all’astronomia, Brian ne sottolinea il doppio valore, sia dal punto di vista dell’avanzamento delle conoscenze scientifiche, sia per quanto riguarda la possibilità di avvicinare queste discipline ai non addetti ai lavori.

“Dobbiamo essere molto attenti – aggiunge – perché valorizzando al massimo l’impegno di chi partecipa a questi progetti, possiamo ottenere grandissimi risultati scientifici. Idealmente, noi dobbiamo essere in grado di definire algoritmi che permettano di raddoppiare il valore dei loro sforzi. Penso si sia alle soglie di una nuova, appassionante dimensione e che i progetti di scienza popolare potranno aiutarci a gestire enormi quantità di dati, attribuendogli un senso. Ora però, occorrono coraggiosi passi in avanti anche nel campo della biblioteconomia e della scienze delle informazioni. Puntando sul contributo di biblioteche, archivi e musei, l’astronomia può fare cose enormi. Perché ciò avvenga però, più di ogni altra cosa bisogna smetterla di essere timidi e avere la forza di osare”.

Leggi l'intervista su The Signal

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ultima modifica 2013-11-21T20:36:00+01:00
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