Siti scomparsi e contenuti svaniti: non c'è più l'Internet di una volta
Nel 2006 Kevin Vaughan, giornalista del The Rocky Mountain News di Denver, pubblicò una storia su un fatto di cronaca del 1961: nella cittadina di Greeley, in Colorado, un treno e un bus con a bordo dei bambini si erano scontrati e 20 di loro erano morti. Vaughan aveva appreso per caso dell’accaduto nel 1985, spulciando tra gli archivi del Denver Post, e si era chiesto perché, pur essendo vissuto quasi esclusivamente in Colorado, nessuno gliene avesse mai parlato. 21 anni dopo, cavalcando la lunga onda emotiva seguita al massacro di Columbine, fu autorizzato dal proprio giornale a "recuperare" quella storia, per dare voce ai genitori e ai conoscenti delle vittime. Gente per la quale, da quel giorno, la vita era cambiata per sempre.
L’inchiesta fu intitolata The Crossing, perché è ad un incrocio che avvenne l’incidente, e la sua realizzazione fu molto fortunosa. Vaughan risalì ai parenti delle vittime solo dopo essere riuscito a recuperare gli incartamenti della vicenda giudiziaria in uno sperduto granaio adibito ad archivio. The Crossing apparve sia sulla versione cartacea del Rocky Mountain News, con la trascrizione delle 34 interviste realizzate dal giornalista, sia sul sito della testata, dove furono pubblicati anche i video e le foto realizzati durante il lavoro. Due anni dopo la sua pubblicazione, Vaughan fu tra i finalisti del Pulitzer. Poi però il Rocky Mountain News fallì, il suo sito andò off line, e la storia dei 20 bambini morti nel 1961 in incrocio di Greeley, Colorado, tornò nel cono d’ombra della memoria.
Se però oggi ne scriviamo, è perché quella storia è stata nuovamente riacciuffata per i capelli. Non solo, è diventata anche un interessante pretesto perché sull’Atlantic si riflettesse su quanto sia sempre più difficile conservare i contenuti pubblicati on line. "Se l'inchiesta in 34 capitoli di un finalista del Pulitzer può sparire dal web - si legge nell'introduzione che la presenta - può sparire praticamente tutto". L’articolo, a firma della giornalista Adrienne Lafrance, è interessante per chi si occupa di conservazione digitale per vari motivi. Intanto perché racconta una storia nella storia e così facendo dà un “tocco pop” all’argomento, rendendolo “digeribile” anche ai non addetti ai lavori. Ma anche e soprattutto perché insiste sul fatto che l’ecosistema Internet è caratterizzato da una complessità tecnologica sempre maggiore. Ed è proprio a causa di ciò che gran parte di quanto prodotto oggi, domani potrebbe non essere più accessibile.
Nell’articolo si arriva a questo aspetto gradualmente. Prima si sottolinea che, essendo nato come una tecnologia per comunicare e non come una biblioteca, la rete è per sua natura effimera. Poi che alla sua nascita, come avvenuto d’altronde per tutti gli altri mezzi di comunicazione compresi i libri, nessuno si sarebbe sognato di conservare contenuti considerati “frivoli” come le prime pagine web. Molto materiale della prima ora è andato perso definitivamente per questo motivo, ma la Lafrance riconosce che da allora ad oggi di passi in avanti ne sono stati compiuti. Cita ad esempio gli sforzi in materia compiuti dalla comunità mondiale dei conservatori digitali. E dedica come prevedibile molta attenzione all’Internet Archive, che paragona a quel granaio sperduto nel Colorado dal quale Vaughan partì per scrivere The Crossing. Il modo in cui conserva e ripropone i contenuti è ancora poco strutturato è a tratti confuso – è il senso della metafora – ma intanto la sua opera è fondamentale.
Quindi si arriva al nocciolo della questione. “La cosa interessante – afferma il direttore della Long Now Foundation Alexander Rose, interpellato dalla Lafrance – è che nel 1990 era più facile archiviare il web, perché quasi tutto era composto di pagine web lineari. Quelle di oggi invece non sono esattamente delle pagine”. Diventa perciò molto più difficile conservarle e soprattutto capire come ricreare un domani le condizioni per garantirne la riproduzione fedele. E qui si ritorna a Vaughan. Quando The Crossing scomparve dal web, il cronista realizzò di avere salvato gran parte dei suoi contenuti su un DVD. Spese 4 anni per ottenerne i permessi di riutilizzo, ma quando nel 2013 ebbe finalmente carta libera, si presentò un altro problema: come realizzare un sito web a partire da un DVD? Fortunatamente, suo figlio Sawyer studiava informatica e decise di aiutarlo, ma subito si imbatté nella difficoltà di ripubblicare on line, con le tecnologie attuali, un prodotto del 2006. “Realizzato prima dell’avvento dell’iPhone – si legge a riguardo – The Crossing era stato concepito come una esperienza desktop. Inoltre poggiava quasi del tutto su Flash, all’epoca onnipresente, oggi praticamente estinto”.
Alla fine Sawyer ce l’ha fatta e ha anche rispettato la volontà del padre, per il quale era assolutamente necessario che l’aspetto del “nuovo” The Crossing fosse identico all’originale. Da settembre 2015 la storia è di nuovo on line, ma se è questo è un happy ending– scrive la Lafrance – è anche un’anomalia. “Salvare qualcosa dal web – prosegue – non significa solo conservare i siti, ma preservare gli ambienti nei quali questi sono apparsi, quegli stessi ambienti che spesso tendono a scomparire, anche se magari rimangono attivi da qualche parte”. “Se la nostra civiltà tecnologica continuerà a evolversi – aggiunge Alexander Rose – ho il sospetto che molti dati grezzi saranno rintracciabili e consultabili, ma quasi nulla dei formati con i quali erano stati presentati sarà più funzionante”. “Salvare qualcosa e prevenirne la distruzione non sono esattamente la stessa cosa”, argomenta ancora la Lafrance, che si affida alle parole di Jason Scott, bibliotecario dell’Internet Archive, per rafforzare il concetto:
Oggi, il web che inventò Tim Berners-Lee non esiste più. Le testate editoriali cancellano i vecchi articoli. I vecchi video di YouTube svaniscono. E mentre l’Internet Archive e altre organizzazioni salvano questi siti, anche essi migreranno verso altri indirizzi. Non saranno più nello stesso posto. Dovrai cercarli… Ci sono storie di successo. Ma nel frattempo, in silenzio, migliaia di cose utili stanno scomparendo. E più il tempo passa, più perdo le speranze se penso a quanto resterà davvero.
Per sintetizzare ulteriormente il concetto, la Lafrance cita anche l’ormai “classico” paragone con la Biblioteca di Alessandria: “la promessa del web è che si potesse resuscitarla nel mondo moderno. Ma la grande libreria del presente viene distrutta proprio mentre viene costruita e ingrandita. E fino a quando non perdi qualcosa di grande su Internet, qualcosa che per te ha davvero un valore notevole, questo paradosso è difficile da comprendere”.