Storage su DNA: dai laboratori alla realtà?

L’edizione inglese di Wired segnala una novità che potrebbe portare a un drastico abbattimento dei costi di codifica dei dati sul materiale genetico. Una rivoluzione concettualmente paragonabile a quella della stampa, che potrebbe cambiare per sempre il panorama dello storage

Quando si parla di futuro dello storage, il DNA viene sempre più spesso indicato come l’unica soluzione realmente praticabile per far fronte alla inarrestabile crescita dell’informazione digitale. Per rendere l’idea del fenomeno, fatto salvo che uno zettabyte corrisponde approssimativamente al patrimonio documentario della Library Of Congress degli Stati Uniti moltiplicato per 180 milioni di volte, nel 2013 a livello mondiale sono stati prodotti 4,4 zettabyte di dati digitali. E non finisce qui: da qui al 2025, il dato esploderà fino a 160 zettabyte.

Per conservare questa inimmaginabile mole di dati, occorrerà tantissimo spazio di archiviazione. O in alternativa, un materiale che necessiti di una quantità decisamente inferiore di spazio per immagazzinare le informazioni, nell’ordine di migliaia di volte in meno rispetto alle tecnologie attuali. Qui entra in gioco il DNA: stando alle ultime sperimentazioni, tutti i film finora prodotti al mondo potrebbero essere codificati su una quantità di materiale genetico inferiore alle dimensioni di una zolletta di zucchero. Non solo: la loro conservazione sarebbe assicurata per 10.000 anni.

Problema apparentemente risolto, se non fosse che ad oggi la trascrizione delle informazioni su DNA  è una tecnica estremamente costosa, neanche minimamente vicina alle cifre che potrebbero renderla appetibile a livello commerciale. Semplificando al massimo, per la codifica dei dati, i metodi “tradizionali” fin qui sviluppati richiedono l’utilizzo di moltissima quantità di materiale genetico. Per immagazzinare la pochezza di 200 megabyte, nel 2016 la Microsoft ha utilizzato ad esempio poco meno di 13 milioni e mezzo di elementi unici di DNA. Traducendolo in costi, ancora oggi occorrerebbero poco meno di 100.000 dollari per immagazzinare un singolo minuto di musica con la massima qualità audio.

Ben presto però le cose potrebbe cambiare radicalmente. Come si legge sull’edizione inglese di Wired, Catalog, una nuova tech company del settore, ha forse trovato la soluzione per abbattere drasticamente i costi. “Ad oggi - spiega un portavoce dell’azienda - la codifica dei dati su DNA può essere paragonata alla riscrittura manuale di un libro: ogni singola parola, lettera dopo lettera, viene ricopiata daccapo. Il nostro metodo potrebbe invece essere associato all’invenzione della stampa: d’ora in poi, a ogni singola lettera potrebbe essere associata una molecola di DNA prefabbricata. Grazie a ciò, un set abbastanza limitato di queste molecole potrebbe permetterci di ricopiare interi libri, per rimanere in metafora, con il minimo sforzo”.

Secondo l’articolo di Wired, tempo un paio di anni e grazie a questa piccola grande rivoluzione tecnologica il DNA potrebbe essere nelle condizioni di competere a livello di costi col nastro magnetico, a oggi la soluzione dominante per lo storage su larga scala. Ciò dipenderà anche dai risultati delle prime esperienze pilota che Catalog conta di avviare entro il prossimo anno. Nella gran parte dei casi si tratta di partnership con organizzazioni e istituzioni che per legge sono obbligate a immagazzinare e conservare enormi quantità di dati. Tra esse, le corporation di Hollywood e della Silicon Valley e alcune agenzie federali statunitensi attive nei campi dell’intelligence e della ricerca spaziale. Anche per le istituzioni pubbliche, chiosa Wired, il futuro dello storage potrebbe essere rappresentato da una soluzione che ha all’incirca 3,8 miliardi di anni.

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