Japan, press save to play again
È francese e di professione fa l’ingegnere delle telecomunicazioni, ma la sua vera passione sono i videogame. Per questo, nel 2000 si è trasferito a Tokyo, ha fondato una piccola associazione no profit, chiamata Game Preservation Society, e da allora a oggi ha dedicato gran parte delle proprie energie alla conservazione dei videogiochi. Il suo nome è Joseph Redon, e ultimamente si è meritato l’attenzione della testata The Japan Times, che ha cercato di indagare sul senso di questa passione. “Perché spendersi tanto per salvaguardare giochi che non hanno avuto successo e nessuno ricorda, come un oscuro simulatore di scacchi?”. “Perché anche nel gioco meno riuscito – risponde – si nascondono piccole tracce di come il medium è evoluto nel tempo. Per questo occorre salvare tutto, non solo i best seller”. Per Redon, i dischi che custodisce sono molto più che semplici contenitori di dati. “Morita-san – spiega riferendosi all’autore del gioco di scacchi – era un eccezionale programmatore e ha scritto algoritmi fantastici. Anni fa i magazine di informatica organizzavano concorsi per sponsorizzare la realizzazione di giochi proposti dai lettori: questo gioco è nato così”. Ogni titolo ha una storia che chiede di essere narrata, anche solo per dare il giusto tributo ai pionieri come Morita che gettarono le fondamenta di un’industria culturale elevata poi al massimo splendore da colossi come Nintendo, Sega e Sony.
Nel corso dell’intervista Redon insiste molto sull’inestimabile patrimonio culturale rappresentato dai videogame, specie per il Giappone. Ciononostante, quello che è ampiamente acquisito da decenni per i film, la musica e anche generi apparentemente minori come l’anime, non vale ancora, a suo avviso, per i giochi elettronici. “I politici se ne tengono alla larga – accusa Redon – finanziano tante organizzazioni, per garantirsi una poltrona una volta usciti di scena, ma non hanno nessuna voglia che il loro nome venga associato ai videogiochi”. Questo spiegherebbe perché in Giappone ancora oggi non esistono né un museo nazionale né una hall of fame dei videogame, e lo sforzo per preservarli rimane quasi totalmente in carico ad appassionati come Joseph e i tanti ragazzi che gestiscono piccole attività ad Akihabara, la mecca mondiale dei manga e dei giochi elettronici.
Quanto a Redon, l’epicentro della sua attività è nel quartiere di Todoroki, in un appartamento dove vive, lavora e si riunisce con gli altri 16 componenti della sua associazione. Cuore di questo piccolo tempio della conservazione del software, un ripostiglio al secondo piano: lì, in un ambiente costantemente tenuto a meno 20 gradi celsius, circa 20.000 dischi giacciono in altrettante custodie costruite su misura. E se il tasso di umidità nella stanza supera il 60%, cosa non rara in un Paese afflitto da estati afosissime, un sistema di allarme scatta immediatamente: “una minima traccia di muffa sul disco e il gioco è game over per sempre”.
L’età media di un floppy disk è di circa 30 anni, e solo in questo modo è possibile allungarla - spiega Redon - aggiungendo che il lavoro di conservazione non si limita a questo aspetto. Occorre anche copiare il contenuto dei dischi, ma farlo non è assolutamente un gioco da ragazzi. Molti titoli furono ad esempio costruiti per non essere crackati. Mettere mano al loro codice vorrebbe dire rovinarli per sempre: si rischierebbe di pregiudicarne il funzionamento, o anche solo l’autenticità. Stante l’ostacolo, una delle soluzioni adottate da Redon e soci è il KryoFlux, una tessera delle dimensioni di una carta di credito che riesce a esportare i dati dai cd, senza alterarli, e riversarli sui nuovi dispositivi informatici. “Mappa la memoria magnetica come una macchina per la risonanza magnetica farebbe con le attività del cervello – si legge a riguardo – a quel punto è possibile caricare il gioco usando un emulatore, o riscriverne i dati su un nuovo disco da far girare sull’hardware originale, ammesso che funzioni”. Non per caso, a Todoroki ci si occupa anche di macchine: Redon e soci sono alacremente all’opera per mantenere in vita i vecchi dispositivi sui quali giravano i giochi, dalle consolle ai ben più ingombranti arcade cabinet. “Pensiamo al restauro di un’auto d’epoca – spiega – si potrebbe rimettere a posto il motore con dei ricambi moderni, ma guidarla darebbe sensazioni assolutamente differenti”.
Quanto alle sensazioni e ai sogni di Joseph, quello più grande è di sviluppare un emulatore che riporti in vita gran parte dei giochi da pc del passato. Da buon “smanettone” però, non vede l’ora di tornare a impugnare il joystick: “cosa farai quando il tuo archivio sarà completato? C’è una gran lista di titoli ai quali non ho mai giocato – risponde - forse un giorno avrò finalmente il tempo per mettermi comodo e godermeli tutti”.