Regole ignorate e archivi in affanno: l’email-gate è solo la punta dell’iceberg
In teoria, il Dipartimento di Stato americano disporrebbe di regole ben precise per l’archiviazione di tutte le e-mail scambiate dai propri funzionari che riguardino aspetti organizzativi, politiche, decisioni, procedure o altre attività a carattere ufficiale. In pratica però, su un totale di oltre un miliardo di e-mail inviate o ricevute dai suoi uffici nel 2011, appena 61.156, lo 0.0006%, sono state conservate a norma. E nel 2013 questo numero è sceso a 41.749 unità. A rivelarlo è un report pubblicato di recente dall’Ispettorato Generale dello stesso Dipartimento, dal quale si apprende che un sistema chiamato SMART, acronimo che sta per State Messaging and Archive Retrieval Toolset, sarebbe a disposizione dei funzionari federali a partire dal 2009. Ma sarebbe, per l'appunto, più che ampiamente sottoutilizzato.
Quanto alle cause, sono molteplici: dalla mancanza di formazione in materia per i dipendenti che dovrebbero utilizzare il sistema, al timore, condiviso da molti, che archiviando i documenti si corra il rischio di esporsi apertamente al giudizio atrui per ciò che concerne il proprio operato e, soprattutto, le proprie opinioni. E qui, come evidenzia tra gli altri il sito Fierce Government, le cause tendono a intrecciarsi. Basterebbero infatti conoscenze minime per sapere che i messaggi possono essere archiviati correttamente, ma allo stesso tempo esclusi dai motori di ricerca interni al sistema SMART.
Oltre a evidenziare questo drammatico stato dell’arte, gli autori del report hanno formulato anche 7 raccomandazioni perché si possa gradualmente provare a migliorarlo. Le parole chiave sono più formazione, sia a livello quantitativo che qualitativo, la definizione di linee guida più chiare e comprensibili sulle procedure da rispettare, e una maggiore supervisione da parte dei vertici del Dipartimento sul modo in cui i propri funzionari utilizzano la posta elettronica.
Tutto ciò detto, se al Dipartimento di Stato, e più in generale in tutte le agenzie federali degli Stati Uniti, si conservano poco e male i documenti digitali, almeno esistono delle regole in materia e qualcosa viene effettivamente preservato dall’oblio. Spostandosi infatti al Congresso, l’equivalente del nostro Parlamento, a scomparire sono anche le regole. Deputati e Senatori americani non devono infatti rispettare alcun obbligo in tal senso, come fa notare tra gli altri US News. “Se lo volessero, i membri del Congresso potrebbero bruciare tutta la documentazione prodotta”, afferma alla testata il policy director della Sunlight Foundation John Wonderlich. E l’articolo non può tacere il paradosso per cui diversi membri del Parlamento attaccano Hillary Clinton da giorni, imputandole il mancato rispetto di regole che dichiarano essere sacrosante, ma che mai e poi mai si sognerebbero di imporre anche a se stessi. Nell'approfondimento si riconosce che parte dell’attività dei parlamentari avviene costantemente sotto i riflettori, così come che essi sono sottoposti al giudizio dei cittadini a ogni tornata elettorale. Resta però la sensazione che Deputati e Senatori agiscano in un regime di estrema libertà rispetto ai propri colleghi impiegati nelle agenzie federali. D’altronde, come precisa US News, messi alle strette, due o tre parlamentarsi sono arrivati ad ammettere di non usare praticamente mai la posta elettronica.
Tornando al Dipartimento di Stato, c’è anche chi punta l’indice non tanto sui funzionari governativi, quanto anche e soprattutto su chi dovrebbe creare le condizioni ideali per garantire una efficace conservazione dei documenti digitali. Lo ha fatto ad esempio Fred Kaplan con un duro editoriale su Slate. “Al Dipartimento di Stato – si legge in apertura – hanno ammesso di recente che non esisteva nessuna procedura standard per la conservazione delle e-mail dei dirigenti. Erano i singoli impiegati, in maniera del tutto arbitraria e casuale, a stabilire caso per caso se i messaggi e-mail potessero essere considerati o meno dei documenti ufficiali e dovessero di conseguenza essere archiviati secondo le regole”. Secondo Kaplan insomma, il Dipartimento di Stato, e con esso le altre agenzie federali, non starebbe facendo nulla per archiviare le prorie fonti ufficiali e a causa di ciò “gran parte della storia contemporanea americana starebbe svanendo nell’etere”.
Ai vecchi tempi – prosegue il giornalista – i funzionari pubblici scrivevano delle note, o le dettavano, e poi le scambiavano coi propri colleghi. Le segretarie ribattevano a macchina queste note, ne facevano tre o quattro copie carbone, e infine le infilavano in dei fascicoli di cartone. Periodicamente, qualche funzionario dei National Archives prendeva in consegna quei fascicoli e li consegnava idealmente ai poster. Grazie a ciò, oggi possiamo scrivere libri sul Vietnam, la seconda Guerra Mondiale e tanti altri eventi di portata storica, sia essa maggiore o minore (…)
Negli ultimi due decenni, il problema è che la conservazione di fonti di questo tipo è avvenuta in maniera molto episodica, quando è avvenuta. E il problema è dipeso dal fatto che i National Archives sono stati estremamente lenti nel definire norme e procedure che permettessero di selezionare e conservare i documenti digitali. Non solo: ancora più lentamente stanno lavorando ora per rafforzare queste regole.
I National Archives hanno inaugurato una propria struttura interna appositamente dedicata alla conservazione digitale nel 2000, ma solo nel 2008 sono partiti i suoi primi progetti pilota, e il suo operato non è andato a regime fino al 2012. Prima di questo momento, i National Archives non disponevano di alcuna soluzione standard per la conservazione dei documenti Word, delle presentazioni in PowerPoint e delle e-mail con allegati. Anche ora el resto, come evidenziato dallo scoop del NY Times, protocolli e procedure non sono ancora delineati al 100%. C’è ancora tanto work in progress e alcuni dettagli del nuovo programma di conservazione non saranno attuati prima della fine del prossimo anno.
Intanto, la nostra storia svanisce nell’etere.
Andando oltre, Kaplan cita alcuni documenti interni agli stessi National Archives, risalenti al 2005 ma desecretati solo nel 2009, nei quali si ammetteva che le regole di conservazione digitale dell’epoca erano apertamente disattese e che, in particolare, molte e-mail venivano cancellate in maniera del tutto arbitraria. Tutto ciò a causa di diversi motivi, dall’uso degli account privati al posto di quelli ufficiali, a una percezione dei documenti elettronici da parte dei funzionari pubblici come qualcosa di molto meno tangibile e in un certo senso autorevole rispetto agli atti cartacei. Come se tutto ciò non fosse già sufficiente, nel report si riconosceva che il ruolo di “custode dei record” nei vari uffici pubblici variava molto frequentemente,e spesso rimaneva vacante, anche per lunghi periodi.
Kaplan si dice abbastanza certo che da allora ai giorni nostri poco o nulla sia cambiato, citando anche fonti interne agli stessi National Archives secondo le quali, ad esempio, ancora oggi ci sia pochissima chiarezza su come vadano conservati gli allegati delle e-mail. “Né nessuno ai National Archives – prosegue – ha ancora pensato di chiedere ai Dipartimenti di includere testi descrittivi delle loro presentazioni PowerPoint, qualcosa di estremamente grave visto e considerato che questo tipo di documenti è stato per anni lo strumento di comunicazione prediletto da parte delle agenzie che si occupano di difesa e intelligence".
Per farla breve – conclude Kaplan – la storia continua a scivolarci via dalle dita. Molti personaggi istituzionali che la stanno scrivendo – non solo la Clinton - ignorano i propri doveri nei confronti dei posteri, e nel frattempo gli archivisti, coloro che avrebbero il compito di preservare la nostra memoria, scuotono le spalle e lasciano che svanisca nel nulla.
È un lavoro complicato: le e-mail sono così effimere; gli hard disk vanno in fumo con estrema facilità; non esiste l’equivalente digitale della carta copiativa. Tutto ciò detto però, se i National Archives non profondono il massimo impegno per salvare questi tesori, perché dovrebbe pensarci qualcun altro?
Interrogato su quanto valesse la pena impegnarsi proprio in quel campo professionale, un mio vecchio professore di storia al college era solito scuotere la testa e dire: “non c’è futuro per la storia”. Oggi, avrebbe potuto aggiungere che “nel futuro non ci sarà nessuna storia”.