Folk digitale: la storia di oggi passa anche dai meme
Il termine folklore digitale potrebbe sembrare paradossale. Perché mai abbinare un concetto ingiallito e analogico come quello di folk con il forte sentore di hi-tech che emana dalla galassia Internet? Presa per buona questa semplificazione, non ci sarebbero dubbi a riguardo. Ma come ben sanno coloro che lo studiano, il folklore ha più che a che fare col presente che col passato. O meglio coi modi in cui, nei più svariati contesti sociali e culturali, alcuni contenuti e percorsi di senso nascono e si impongono dal basso, fino a divenire dei punti di riferimento condivisi da intere comunità. E se Internet è una sorta di comunità delle comunità del nostro presente, ecco negato il presunto paradosso iniziale. Nella sua lunga intervista in due “episodi” per il blog The Signal della Library Of Congress (1 e 2), Trevor J. Blank elabora in maniera molto più articolata questi ragionamenti. Riconoscendo però, che la stessa comunità etnografica internazionale ha impiegato anni ad accettare una realtà che ora è invece sotto gli occhi di tutti. Perché nell’era dei meme, delle Gif animate e delle emoticon eletti a pilastri del nostro linguaggio quotidiano, per giunta come presto vedremo non solo on line, è evidente che la culla per antonomasia del folklore contemporaneo non può che essere Internet.
Blank insegna comunicazione presso la State University of New York di Potsdam, si occupa di folk on line dal 2007, e fin da subito professa un forte debito intellettuale nei confronti di Robert Glenn Howard, vero e proprio pioniere di questa nuova disciplina di studi, a sua volta intervistato da The Signal nel febbraio dello scorso anno. “Dagli anni in cui ho cominciato ad oggi – spiega – il principale cambiamento è stato senz’altro la svolta visuale che ha riguardato la grandissima maggioranza delle community on line”. Tutto ciò che diventa immediatamente di senso comune e largamente condiviso – e i Mondiali di calcio sono assolutamente esemplificativi a riguardo – ha quasi sempre a che fare con rielaborazioni ironiche e scherzose di immagini e filmati, nel rispetto di quel mix tra ripetizione e variazione che secondo Blank caratterizza e dà forza a qualsiasi tipo di discorso folkloristico.
L’esperto insiste molto anche sulla progressiva ibridazione del folk on e off line, e per rendere chiaro un concetto non proprio semplicissimo usa il mirabile esempio della formula LOL. LOL sta per laughing out loud, in italiano ridere ad alta voce, ed è una formula che si è cominciato a usare anni fa nelle chat, nei blog e negli altri contesti di comunicazione testuale on line, per sopperire alla carenza degli elementi espressivi tipici della conversazione faccia a faccia. I gesti del “mondo reale” hanno contagiato quello virtuale (e queste considerazioni sono vicinissime a quelle del curatore museale Jason Eppink di cui abbiamo reso conto di recente) ma ancora più interessante, secondo Blank, è che da un certo momento in avanti, nel linguaggio parlato le persone hanno cominciato a esclamare LOL per significare divertimento e stupore.
“Accadimenti come questo – è la sua chiosa – sono sempre più comuni e svelano l’ibridazione della cultura folk. La comunicazione mediata dalle tecnologie è ormai così diffusa e integrata nella vita quotidiana della grandissima maggioranza delle persone, che le stesse barriere cognitive tra corporeo e virtuale si sfumano, e non sono più valide per spiegare i fenomeni”.
Rimanendo in tema di barriere che stanno venendo giù, Banks parla anche di un folk che si innerva nei canali istituzionali e di canali istituzionali che sfruttano a loro vota il folk per i propri scopi. Su Amazon ad esempio, determinati prodotti diventano il pretesto per scatenare catene di recensioni, ovviamente ironiche, che a volte si trasformano in vere e proprie saghe. Chiaramente si tratta di un utilizzo originale e distorto dello strumento revisione così come era stato concepito da Amazon – argomenta l’esperto – ma è pure vero che alla fine questo rumore di fondo fa crescere l’attenzione sui prodotti in vendita. “E in fin dei conti – conclude –l’utilizzo vernacolare della recensione diventa parte integrante del processo d’acquisto”.
Come sempre su The Signal, non mancano infine riflessioni su cosa e come andrebbe preservato nel tempo, di quanto si anima e agita nel mare magnum del folklore digitale. Più di ogni altra cosa, risponde Banks, le varie forme di reazione virale ai grandi eventi della nostra epoca. Dalle Torri Gemelle all’uccisione di Bin Laden – solo per fare due esempi assolutamente paradigmatici – l’esplosione di meme, pettegolezzi, scherzi e teorie del complotto che ha accompagnato questi momenti on line è stata una sorta di cartina di tornasole del nostro modo di reagire ad essi, e in qualche modo assimilarli, disinnescandone il potenziale emotivo. Chi domani vorrà scrivere la storia dei nostri giorni non potrà ignorare questo tipo di fonti, e ben venga allora la sempre maggiore attenzione degli etnografi nei loro confronti.
“Ci occupiamo di collezionare cose per poterle studiare – afferma Banks – e sono molto speranzoso del fatto che la crescita di interesse su come cambiano i vernacoli nell’era digitale aiuterà a anche la causa di chi vorrà preservare il patrimonio culturale condiviso su Internet”.