Dell'infinito discutere sulla fine della carta
Periodicamente, come si può evincere anche dai diversi articoli elencati in calce, torna d’attualità la domanda se per la carta sia giunta ormai l’era dell’estinzione, causa la massiccia diffusione delle tecnologie digitali in tutti gli aspetti del quotidiano. Quasi sempre il discorso si riaccende quando qualcuno mette in discussione questo modo di vedere le cose, definendolo semplicistico. Anche stavolta è accaduto così, perlomeno negli Stati Uniti dove di recente sono stati pubblicati alcuni volumi sull’argomento. Ultimo in ordine di tempo, “Paper: Paging Through History” scritto da Mark Kurlansky. Questa nuova fioritura di libri in materia, alla quale corrispondono dati inequivocabili sulla "felice sopravvivenza" della carta in diversi ambiti e settori, è stata oggetto di attenzione del giornalista Michael Rosenwald sul Washington Post.
Il suo articolo, intitolato “Is the printed word doomed? Not now or ever argues a glut of new books about paper”, è stato tradotto integralmente in italiano e pubblicato da Il Post. La tesi di fondo che accomuna i volumi e l’articolo di Rosenwald è che così come ad esempio con l’avvento della televisione il cinema non sia scomparso, ma si sia piuttosto riposizionato soddisfacendo nuovi bisogni, lo stesso è già avvenuto e continuerà ad accadere in maniera ancora più marcata in futuro con la carta. Questo perché, contrariamente a quanto si tende spesso a pensare in questo campo, non sono le tecnologie a definire dei bisogni ma in linea di massima esattamente il contrario. Una tecnologia comincia a essere utilizzata e diventa popolare non quando viene “inventata”, bensì quando nella società emergono necessità che proprio quella tecnologia, meglio di altre, riesce a soddisfare. E questo, secoli fa, sarebbe accaduto anche con la carta. Di seguito alcuni passaggi estratti dalla traduzione dell’articolo:
La recente abbondanza di libri sulla carta (…) è importante perché tra le altre cose ci ricorda che l’arco della storia e dell’innovazione è più lungo del periodo tra un aggiornamento di iOS e un altro. Come ha scritto molto efficacemente Kurlanksy, la tecnologia non definisce la società: è la società a definire la tecnologia.
I cronisti che raccontano il ruolo della carta nella storia lo fanno spesso con affermazioni sopra le righe: l’architettura non sarebbe stata possibile senza la carta. Senza la carta non ci sarebbe stato il Rinascimento. Se non ci fosse stata la carta la Rivoluzione industriale non sarebbe stata possibile. Niente di tutto questo è vero. Questi sviluppi sono arrivati perché la società era arrivata a un punto in cui erano diventati necessari. Questo vale per tutte le tecnologie, ma è particolarmente evidente nel caso della carta.
Gli europei iniziarono a utilizzare la carta solo mille anni dopo che i cinesi l’avevano inventata. Non che prima non la conoscessero: per anni gli arabi avevano provato a vendergliela. Gli europei però se ne interessarono solo dopo aver imparato la matematica e la scienza degli arabi e aver ampliato la loro letteratura. A quel punto le pergamene di pelle animale erano diventate troppo lente e costose da produrre per soddisfare la crescita delle esigenze in Europa.
Tutte le volte che la carta viene data per spacciata, sostengono Kurlanksy e altri scrittori che si sono occupati del tema, si rivela dotata della stessa immunità comune ad altre invenzioni…
L’invenzione dei caloriferi a gas ed elettricità non ha comportato la fine dei camini. Con la stampa non si è smesso di scrivere a penna; la televisione non ha ucciso la radio, così come il teatro non è stato ucciso dai film, e le videocassette non hanno ucciso il cinema, nonostante tutte queste cose fossero state erroneamente previste.
Certamente non torneremo mai più a usare la carta come facevamo prima dell’arrivo dei computer. (...) Ma ancora una volta è la società a definire l’uso che facciamo della tecnologia, e non il contrario. Abbiamo bisogno della carta.