Blockchain pubbliche: opportunità e rischi
Negli Stati Uniti è prossimo alla pubblicazione un nuovo report sulle prospettive di utilizzo delle soluzioni blockchain in ambito pubblico. Lo studio, a cura della National Institute of Standards and Technology, e già consultabile in bozza, e i suoi contenuti sono stati oggetto di alcune anticipazioni sul sito Nextgov. “Si tratta del primo report a diffusione pubblica - si legge nell’articolo - col quale si ragiona concretamente sulle azioni da compiere per diffondere più soluzioni blockchain nelle agenzie”.
Il report non si limita a esplorare le opportunità di diffusione delle blockchain in ambito istituzionale. Analizzando le caratteristiche principali di tali soluzioni, si sofferma infatti anche su quelle che potrebbero pregiudicare o rendere caldamente sconsigliabili simili scenari. Il punto di partenza degli autori e che “c’è una tendenza a enfatizzare e usare oltre il dovuto la grandissima parte delle tecnologie emergenti”. Da ciò l’invito a soppesarne approfonditamente pregi e difetti, prima di utilizzarle a prescindere.
Tra i principali limiti della tecnologia, si sottolinea ad esempio l’intrinseca vocazione a garantire l’anonimato e l’impossibilità di tracciare gli utenti. “Ciò potrebbe attrarre le persone malintenzionate”, scrivono i curatori dello studio, pur riconoscendo che ogni soluzione blockchain impone delle precise regole di utilizzo. Se ben progettate quindi, dovrebbero comunque impedire a priori utilizzi devianti o anche solo potenzialmente rischiosi.
Un altro limite riguarda l’enorme capacità di calcolo necessaria per il funzionamento di gran parte dei servizi blockchain: “in mancanza di accesso ad una rete distribuita, o nel caso in cui si disponga di connessioni non sufficientemente potenti, le transazioni potrebbero subire significativi rallentamenti, cosa peraltro già avvenuta in ambito finanziario”.
A fronte di tali perplessità, nel report si percepisce un sostanziale ottimismo sulla possibilità di adottare le soluzioni blockchain nel settore delle pubbliche amministrazioni. Non solo: gli autori suggeriscono di creare sistemi “chiusi” che si fondino sui meccanismi di funzionamento di base di tale tecnologia, neutralizzando al contempo alcune delle caratteristiche potenzialmente più pericolose. Un consiglio in tal senso è di creare blockchain istituzionali che poggino su server o database controllati a livello centrale, piuttosto che distribuiti su architetture di rete aperte. In tal modo, i sistemi rischierebbero di essere più vulnerabili, ma le istituzioni potrebbero controllare molto meglio le modalità di utilizzo e gli stessi utenti. Estremizzando il concetto, sarebbe anche possibile impedire a priori il loro anonimato,
“A questo punto però - si legge nell’articolo di Nextgov - la domanda da porsi è quanto valga la pena modificare una soluzione prima che diventi qualcosa di totalmente differente. Se un’istituzione progetta una blockchain basata su un server centralizzato, possiamo ancora parlare della stessa tecnologia? Ma forse, a sua volta, un simile interrogativo è del tutto irrilevante. Le istituzioni non hanno l’obiettivo di creare nuove criptovalute non tracciabili. Quindi, se modificando questa tecnologia si può garantire una più efficace protezione di dati istituzionali, ben vengano simili soluzioni”.