Dallo scandalo dei lockdown files un nuovo monito sull'importanza della conservazione digitale

Le motivazioni addotte dall’ex premier britannico Boris Johnson per giustificare la scomparsa di migliaia di messaggi Whatsapp scambiati durante i primi mesi della pandemia, riportano alla ribalta un tema estremamente sentito nella comunità internazionale della conservazione digitale

“Conosce il motivo che ha portato alla scomparsa di 5.000 messaggi Whatsapp sull’emergenza Covid dal suo telefono?”. “Non conosco la causa esatta, ma pare sia dipeso da un malfunzionamento dell’app. A un certo punto è andata in down, e quando ha ripreso a funzionare, per qualche motivo erano stati cancellati automaticamente tutti i messaggi scambiati dal momento del down all’ultima data nella quale era stato effettuato il backup. Non sono quindi in grado di fornire una spiegazione tecnica di quanto accaduto, ma questa è la ricostruzione migliore che sono in grado di fare”.

Con queste parole, l’ex Primo ministro britannico Boris Johnson, in carica dal 2019 al 2022, ha motivato la scomparsa di migliaia di messaggi scambiati con altri esponenti del governo e delle istituzioni britanniche nei primi mesi dell’emergenza pandemica. Le dichiarazioni sono state rese al cospetto della corte che sta conducendo un’inchiesta pubblica istituita proprio allo scopo di verificare se, nella gestione dell’emergenza, siano stati messi in atto comportamenti negligenti che potrebbero avere aggravato il bilancio in termini di perdite di vite umane e impatto sul sistema sanitario nazionale.

L’inchiesta è stata istituita anche a seguito dello scalpore susseguente alla pubblicazione dei cosiddetti Lockdown files: una serie di articoli pubblicati dal quotidiano conservatore The Telegraph, basati su evidenze, opinioni e altri contenuti condivisi in oltre 100.000 messaggi Whatsapp consegnati alla testata da Matt Hancock, in carica come Ministro della Salute nel periodo della pandemia.

Migliaia di questi messaggi erano stati scritti e scambiati proprio dal Primo Ministro Boris Johnson, che per questo motivo, all’avvio dell’inchiesta nel 2022, era stato invitato formalmente a consegnare l’intero archivio delle proprie conversazioni Whatsapp. 

Pur dichiarando di voler offrire massima collaborazione, Johnson aveva spiegato in prima battuta che non sarebbe stato in grado di consegnare i messaggi scambiati tra la fine di gennaio 2020, nel momento dello scoppio della pandemia, e il mese di giugno dell’anno successivo. Il Primo Ministro aveva dichiarato che, per motivi di sicurezza, era stato costretto a cambiare smartphone proprio nel giugno 2021. E  che in seguito, quando aveva provato a riavviare il vecchio telefono per corrispondere alla richiesta degli inquirenti, non era riuscito a sbloccarlo, perché aveva dimenticato il codice di sblocco. Provare a digitare più codici nel tentativo di riavviarlo, aveva precisato, comportava il rischio di una totale cancellazione della memoria del telefono, al raggiungimento di un determinato numero di tentativi falliti.

Successivamente, da notizie di stampa e dichiarazioni del suo portavoce era sembrato che questo ostacolo fosse in via di risoluzione. Ma a giudicare dalle risposte fornite da Johnson al cospetto della corte, e riportate nell’apertura di questo approfondimento, è molto probabile che i messaggi inviati e scambiati nei primi, cruciali mesi di emergenza pandemica non siano mai stati recuperati. O quantomeno consegnati agli inquirenti.

Tralasciando la cronaca di questi eventi, e posto che, grazie alla consegna dei messaggi da parte dell’ex Ministro della Salute Hancock, molti degli atteggiamenti e comportamenti messi in atto da Johnson e altri esponenti del governo e delle istituzioni britanniche pare siano comunque stati accertati, questo nuovo, eclatante episodio riporta alla ribalta un tema molto sentito nella comunità internazionale dei professionisti ed esperti che si occupano di conservazione digitale.

Ancora una volta, come accaduto ad esempio in occasione dello scandalo che a detta di molti costò ad Hillary Clinton l’elezione alla Casa Bianca, torna d’attualità la riflessione su se e quanto i personaggi politici, o comunque ai massimi vertici dei nostri sistemi sociali, possano affidarsi all’uso di media personali, e per questo non coperti dalle normali regole di registrazione a archiviazione per finalità ufficiali e di documentazione storica, nell’esercizio delle proprie funzioni.

Il dibattito, in corso da tempo, è in continua evoluzione, anche a seguito dei veloci processi di cambiamento che caratterizzano le stesse tecnologie di comunicazione. E in alcuni casi ha già portato alla definizione di regole più dettagliate e stringenti, per fare in modo che anche la messaggistica digitale rientri tra i canali di comunicazione istituzionali ufficiali, e per questo soggetti alle stesse regole previste per i sistemi più tradizionali e consolidati.

Ma lo scalpore suscitato da questa nuova vicenda - e forse più di qualsiasi altra cosa le dichiarazioni quantomeno confuse rilasciate dall’ex Primo Ministro di una delle democrazie più autorevoli e influenti al mondo per giustificare la scomparsa di migliaia di messaggi di fondamentale importante per un intero Paese - ci suggeriscono che il lavoro da compiere è ancora lungo. E vista l’importanza della posta in gioco, occorrerebbe portarlo a termine quanto prima possibile.

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ultima modifica 2023-12-19T16:15:02+02:00
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